
Lago di Varese: acque giallastre dove un tempo guizzavano il persico e le anguille

di Kevin Ben Ali Zinati.
Un tesoro, forse il più prezioso, di cui tutti i cittadini possono – e devono – vantarsi. Un capitale di rara bellezza, fiore all’occhiello di un’intera provincia che però, ad oggi, non può goderne. Come uno di quei beni inestimabili fermi, bloccati, congelati, il Lago di Varese è per la città uno specchio d’acqua un tempo limpidissimo, un’apprezzata meta di vacanze e soggiorni che con il tempo, l’industrializzazione e i lunghi ed inefficaci tentativi di riparazione si è trasformato in un bacino censurato dal divieto di balneazione e in un ricettacolo di alghe e inquinamento. In un problema politico e ambientale. In un paziente malato e ancora alla ricerca di una cura.
L’ultimo episodio, in ordine cronologico, della storia del Lago è datato 18 dicembre 2015, quando l’acqua ha assunto un’insolita colorazione giallastra. Gli esperti – nelle parole rilasciate da Santo Cassani, presidente dell’associazione culturale “Il Sarisc” di Oltrona di Gavirate, alla Provincia di Varese – indicano come causa i più di 50 giorni di siccità che hanno colpito il nord dell’Italia e non, invece, l’eccessiva eutrofizzazione di cui soffre il Lago. Un gioco di colori, a tratti anche suggestivo, che per il momento sembrerebbe trovare una spiegazione “esterna” alle condizioni in cui il Lago versa da più di quattro decenni ma che, immediatamente, fa riemergere una riflessione sullo “stato di salute” del paziente più famoso di Varese.
Il Lago di Varese è quello che si può definire un bacino di origine “glaciale” derivato dallo scioglimento del ghiaccio delle zone del Verbano. Il più importante immissario è il Fiume Brabbia mentre il principale emissario, il Fiume Bardello, sfocia direttamente nel Lago Maggiore. Il Lago di Varese è unico per lo scenario da cartolina ai piedi del Monte Campo dei Fiori e si estende per circa 14 kmq e bagna 9 Comuni detti “rivieraschi”: Varese, Gavirate, Bardello, Biandronno, Cazzago Brabbia, Bodio Lomnago, Galliate Lombardo, Azzate e Buguggiate. Vanta il decimo posto tra i laghi italiani per estensione e nel settembre del 2013 e nel giungo del 2015 ha impreziosito la sua storia ospitando i campionati mondiali di canottaggio.
L’inquinamento: gli inizi
I primi segnali cominciano a manifestarsi verso la fine degli anni ’60 quando nelle sue acque viene riscontrata una massiccia carenza di ossigeno. Solo nel pieno degli anni ’70, tuttavia, la situazione viene gravemente compromessa.
L’imponente urbanizzazione postbellica che ha avviato la proliferazione di industrie (conciarie, aeronautiche e calzaturiere), lo sviluppo di grandi complessi produttivi (Ignis, Aermacchi, Augusta) e l’uso civile di acque ricolme di detersivi riversate direttamente nel Lago hanno portato notevoli fioriture di alghe, morie di pesci e modifiche della composizione chimico-fisica delle acque del Lago.
Il primo a subire le conseguenze è stato quel mondo legato all’attività dei pescatori. «Fino agli ani ’70 si pescavano quattrocento quintali di pesce persico all’anno e cento di anguille. Quando ero ragazzino mi passavano tra le gambe decine di gobbi e di pesci persico e li vedevo ad occhio nudo. Mettevo un ramo di salice in acqua e in pochi istanti abboccavano 7-8 alborelle. Ora invece è tutto cambiato. La fauna del Lago è costituita da pesci poco nobili che amano acque sporche, come carpe e carassi, e le famiglie di pescatori da 34 si sono ridotte a 4-5. Mio padre e mio nonno sono sempre stati in prima linea per il Lago quindi la storia l’abbiamo vissuta da vicino, di generazione in generazione». La testimonianza di Paolo Giorgetti, ingegnere varesino e professore di Processi Tecnologici all’Università di Lugano, propone una visione diacronica preziosa e decisiva per comprendere anche la portata economica delle ripercussioni. La scarsa qualità ittica del Lago ha significato una diminuzione del commercio del pesce lacustre fino alla sua quasi totale scomparsa mentre il divieto di balneazione unito alle pessime condizioni delle acque, allo sgradevole odore e alla vista di un lago coperto di alghe ha ostacolato il turismo. Il risultato? Un vuoto umano e di capitali che con il tempo ha pesato – e ancora pesa – sul mercato e sull’economia dei paesi rivieraschi.
Recentemente, si sono aggiunti anche altri due problemi: due tipi di scarichi inquinanti, quelli ufficiali di tipo fognario derivanti da vari Comuni (si parla di Gavirate e Varese anche se in modo parziale) non collegati al collettore di depurazione e quelli non ufficiali, illegali ed abusivi. Se, tuttavia, questi ultimi sono stati in grande misura scoperti e censiti dalla Provincia di Varese, quelli ufficiali continuano a preoccupare le zone rivierasche ed in particolare Roberto Cenci, ricercatore, scrittore ed ex professore dell’Università degli Studi di Milano di Valutazione dell’Impatto Ambientale. «Bisogna che tutti i Comuni limitrofi al Lago operino una separazione delle acque chiare e di quelle scure – spiega Cenci – perché ora entrambe vengono mischiate e portate insieme al collettore il quale, essendo sottodimensionato, ogni volta che piove tracima riversando il refluo nel Lago».
Il collettore. Uno degli attori protagonisti di questa storia che merita una spiegazione
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Alla fine degli anni ’80 una delle soluzioni proposte è stata la costruzione di un sistema di collettori circumlacuali, costituito dal collettore di Comabbio, in grado di convogliare le acque reflue dei Comuni ad un impianto di depurazione situato a Gavirate. Avviato a cavallo tra il 1986 e il 1988, il sistema ha portato notevoli ed effettive migliorie nella salute del Lago con la riduzione del carico esterno passato. Il collettore è stato dunque un importante oltreché efficace rimedio verso il risanamento del Lago. Ben presto, però, da soluzione si è trasformato in causa. «Il collettore, già all’origine di portata appena sufficiente, fu in seguito appesantito dagli scarichi del bacino del lago di Varano e anche dal flusso di liquami della Whirlpool – prosegue Giorgetti -. Queste, aggiunte ad ingenti quantità di acqua piovana, fanno aumentare la portata d’acqua che vi arriva e quando la quantità di liquami è troppo alta, il collettore trabocca buttando fuori circa 3 metri cubi di acqua sporca al secondo». Anche Roberta Peroni, ingegnere e funzionario del Macrosettore Ambiente della Provincia di Varese, conferma come il problema sia l’eccessivo carico d’acqua. La sua analisi, però, si concentra non tanto su un sottodimensionamento del collettore ma piuttosto sulla mancanza di una separazione tra acque chiare e scure nelle fogne dei Comuni, problema comunque reale. «La questione è che il collettore del Lago riceve acque da fognature dei paesi limitrofi ed è in gran parte un misto tra acque chiare e nere. Queste prima di arrivare al collettore dovrebbero avere dei “manufatti sfioratori” che separano le acque in eccesso rispetto ad un quantitativo fissato dal regolamento regionale. Se il collettore portasse via solo le acque previste probabilmente non avrebbe problemi, invece spesso va in pressione perché in periodi di grande piovosità la portata d’acqua aumenta notevolmente superando i limiti. Quando è stato costruito il collettore non c’era il regolamento regionale (è del 2006) e quindi alcuni sfioratori hanno delle verifiche fatte e mentre altri no. Il problema è questo, se poi ci sono tratti del collettore sottodimensionati non lo so» spiega la Peroni confermando anche che «progetti per il rifacimento del collettore non c’è ne sono perché il problema è nelle fognature dei Comuni ma la loro risistemazione sarebbe costosa e irrealizzabile in tempi brevi».
Diretta conseguenza del mal funzionamento del collettore è stata la proliferazione di alghe. L’origine di questi organismi autotrofi dipende dall’enorme quantità di materia organica che si riversa nel Lago. Non si parla, infatti, di inquinanti tossici pesanti, di metalli, di mercurio o di sostanze tossiche. Quello che grava sul Lago di Varese è un sovraccarico di sostanze organiche che creano un’eccessiva produzione biologica primaria e da cui dipende il fenomeno dell’eutrofizzazione. Tutto ciò deriva da un massiccio carico di fertilizzanti e nutrienti, in particolare difosforo, derivante dagli scarichi antropici della popolazione, che negli anni si è accumulato sul fondo. A questo proposito, autorevole è la spiegazione scientifica sui processi di formazione delle alghe di Marco Saroglia, ex professore di Idrolobiologia, Pescicoltura e Biotecnologie Marine presso l’Università degli Studi dell’Insubria di Varese e ancora oggi attivo nella lotta per la salvezza dello specchio acqua varesino: «Durante l’estate il Lago inizia una stratificazione termica, c’è una massa di acqua superficiale e una inferiore più fredda dette epilimnio ed ipolimmio, delimitate da una fascia termica fisica detta termoclino dove la temperatura si abbassa bruscamente. Le due fasce hanno temperature e densità diverse e quindi non si mescolano tra di loro impedendo scambi di nutrienti e di ossigeno il quale non riesce a passare nella zona del fondale.L’ipolimnio così perde ossigeno e quando il suo livello scende al di sotto di un 1 milligrammo-litro vi è la liberazione di quel fosforo prima segregato nelle argille. Viene così avviato il processo di eutrofizzazione delle alghe che, dopo il proprio ciclo di vita (di qualche settimana), muoiono consumando ossigeno e rendendo quindi la parte più bassa del lago completamente anossica».
Quali soluzioni furono messe in atto nel corso degli anni?
Per fronteggiare la rapida evoluzione della “malattia” del Lago, la Provincia ha seguito diverse strade. Accanto alla costruzione del collettore – soluzione però parziale – tra il 2000 e il 2003 sono stati avviati interventi di ossigenazione e di prelievo ipolimnico. Vista la condizione anossica in cui il fondale versa durante quello che si può definire il ciclo estivo sopra spiegato, si è pensato di immettere direttamente nell’ipolimnio alte quantità di ossigeno «cercando di ossigenare i bacini di Schiranna e Cassinetta tramite quattro stazioni di ossigenatori composte da tre unità ciascuna e con un raggio d’azione di circa 1 km» ricorda Elisabetta Zanardo, studentessa dell’Insubria che proprio al Lago di Varese ha dedicato la propria tesi di laurea magistrale. In unione a ciò, sono stati avviati anche prelievi nella zona più bassa del Lago allo scopo di rimuovere grosse quantità di acqua molto ricche di fosforo.
I processi di ossigenazione, come previsto da qualcuno, non hanno però portato ad effetti incoraggianti: è stato soprattutto il prelievo ipolimnico a dare risposte sorprendenti e segnali incoraggianti. «Il prelievo consentì di abbattere una certa quantità di fosforo nelle acque del lago, fu una soluzione importante che ci diede speranza. Poi però sfortunatamente l’intero progetto si arenò» racconta Giorgetti. Perché interrompere il prelievo ipolimnico che aveva finalmente dato speranza? Il progetto di ossigenazione non ha dato risposte positive e quando i costi sono diventati troppo elevati e difficili da sostenere (colpa anche degli imprevisti atmosferici) il progetto è stato bloccato. Con esso anche quello del prelievo! Le due attività, infatti, erano collegate e la chiusura di una ha comportato chiaramente anche la fine dell’altra. «Il progetto di ossigenazione fu interrotto perché non si riusciva ad immettere ossigeno nel modo corretto – spiega Alessandro Canziani, funzionario presso il macroambiente della Provincia di Varese – poiché esso tendeva a stazionare molto vicino al punto di immissione mentre il prelievo, oltre che per i costi, è stato stoppato per varie ragioni. Prima di tutto perché venivano generati cattivi odori nel punto di immissione sul fiume Bardello soprattutto durante il periodo estivo; c’erano poi perplessità sul fatto che le acque emunte dal Lago Varese immerse nel Bardello potessero recare danno all’ecosistema del fiume stesso e al Lago Maggiore; le strutture del prelievo, soprattutto, hanno subito gravi danneggiamenti: si presume che le stazioni di pompaggio sul fondo siano leggermente sprofondate impedendo quindi un regolare lavoro».
Tra il 1995 e il 2004 interessante è stato un latro progetto, quello del “Contenimento eutrofizzazione”. Come ricorda l’architetto Norberto Ramazzi, caposervizio macroambiente della Provincia, in una relazione del gennaio 2015 e scritta a quattro mani con il dott. Canziani «la Regione Lombardia approvava per un importo complessivo di allora lire 8.593.910.954 l’onere conseguente all’aggiudicazione dei lavori di gestione e controllo dei fenomeni di eutrofizzazione delle acque del lago di Varese [a La Ditta Eurodepuratori S.p.A. ], prevedendo all’interno di detta somma la conseguente gestione delle opere ed il monitoraggio delle acque». Nel 1999 la gestione è stata affidata ad un’altra azienda (SOGEIVA S.p.A Varese Ambiente per un importo di € 1.797.270,01) che si è occupata di interventi migliorativi verso la copertura della vasca di strippaggio del fiume Bardello e dello spostamento del suo scarico in un punto più a valle nel fiume. Nel 2004, poi, è stato istituito l’Osservatorio del Lago di Varese alla cui attenzione, nel 2008, la Provincia ha portato un progetto proposto dalla Società “Phoslock Europe GmbH” in compartecipazione con la “Limologisches Institut Dr. Nowak”. La proposta era semplice: utilizzare “Phoslock”, un’argilla modificata in grado di rimuovere il fosforo disciolto nelle acque nonché di mitigarne il rilascio. L’idea è stata accettata e, per un costo complessivo di € 72.000,00, nel febbraio del 2009 è stata avviata con la durata concordata in 12 mesi. La costruzione delle infrastrutture è iniziata il 24 febbraio ’09 mentre l’inizio delle attività di ricerca e sperimentazione ha preso avvio il 6 marzo.
La volontà della Provincia era quella di ricorrere ad un progetto innovativo – ma costoso – che potesse risolvere il problema in tempi relativamente brevi anche se ben presto sono stati sollevati seri dubbi. In particolare, a preoccupare era la composizione chimica del Phoslock, caratterizzata da grandi dosi di Lantanio, un metallo tossico. «Se il lantanio fosse entrato nel lago, il problema dell’inquinamento sarebbe stato ancora più grave. Il fosforo è “solo” un eutrofizzante, è un concime, il lantanio invece è tossico. Fu chiaro che qualcuno si sarebbe opposto» ribadisce il professor Saroglia sottolineando anche che uno dei motivi di attrito verso il progetto australiano era l’elevato costo che esso avrebbe comportato.
Nella notte tra il 16 e 17 luglio ’09 forti raffiche di vento (vicine ai 100km/h) hanno compromesso le infrastrutture della sperimentazione. Sono state riparate a novembre di quell’anno ma gli avversi eventi atmosferici del 24-25 ottobre 2010 hanno lacerato in maniera irreparabile i mesocosmi (zone di acque prese in considerazione) 2 e 3 bloccando così il prosieguo della sperimentazione. L’analisi dei dati ricavati ha lasciato un responso confortante, come riportato da stralci presi dalle note conclusive delle relazioni dell’Università dell’Insubria di Varese e di ARPA (Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente). «Il giudizio che emerge è positivo, infatti da giugno a ottobre la concentrazione di fosforo nelle acque ipolimniche in presenza di Phoslock (M3) permane su un valore medio di 10 μg/l, concentrazione significativamente inferiore a quelle riscontrate durante lo stesso periodo nelle acque non trattate del lago (96 μg/l) e del mesocosmo M1 (136 μg/l)» recita l’Università a cui fa eco anche la reazione dell’agenzia lombarda che afferma con convinzione che «il Phoslock, limitatamente al mesocosmo III, ha agito in maniera congrua alle aspettative».
Accanto a questi successi, tuttavia è stato il potenziale impatto tossico del lantanio a preoccupare la comunità scientifica e la popolazione rivierasca. In seguito ai dati incompleti e incapaci di «chiarire quale sia la capacità del lantanio di entrare nelle catene alimentari e determinare fenomeni di bioaccumulo nei tessuti animali», agli interventi di esperti come il Prof. Alessandro Fumagalli dell’Università dell’Insubria (che paventò il rischio di una «limitata capacità del Phoslock di fissare il fosfato») e del Dott. Rosario Mosello del CNR di Pallanza («non si possono escludere potenziali effetti negativi dell’intervento proposto sugli organismi presenti nel lago»), l’efficacia della sperimentazione australiana è stata riconosciuta solo a metà.
Il progetto del Phoslock è stato interrotto definitivamente e la Provincia è tornata a valutare soluzioni alternative.
L’opinione degli esperti
A fronte di una situazione giunta ormai ad un livello di criticità elevato, soluzioni pratiche e di immediata applicazione urgono più che mai. Autorevoli portavoce di ambiti e filosofie di pensiero diverse, Paolo Giorgetti, Marco Saroglia e Roberta Peroni offrono differenti idee. «Il lago è come un campo: se troppo concimato non può che produrre ortiche – esordisce Giorgetti, ricordando una vecchia battuta -. Per aiutarlo serve una forte volontà di non inquinamento da parte dei Comuni e una forte attività ripopolamento ittico: bisogna togliere le specie poco pregiate a favore di quelle pregiate». La strategia dell’ingegnere varesino, ricordando una “polemica” cittadina infuriata nel corso degli anni, si basa soprattutto su una precisa e concreta organizzazione: «Serve più collaborazione da parte di tutti i soggetti e una miglior pianificazione degli investimenti: per esempio, ci sono opere pubbliche che potrebbero essere messe in secondo ordine investendo quindi una piccola parte di risorse in un fondo apposito per il Lago. Serve un piano ma per ora, purtroppo, non c’è nulla. Quello che rimprovero è mancanza di strategia. Spesso sono state proposte soluzioni modello “bacchetta magica”: dal punto di vista politico è utile, è l’azione eclatante che può portare favori e consensi ma non funziona così. Una famosa barzelletta che mi raccontava mio nonno diceva: “Come si mangia un elefante? Un pezzo alla volta”». In particolare, la proposta di Giorgetti oltre ad una fitta programmazione degli interventi e degli investimenti di chiusura degli scarichi e separazione delle acque per consentire un miglior funzionamento del colelttore, prevede anche il riutilizzo del prelievo ipolimnico, ciò che più di tutto fece maggior bene al Lago: «Se lasciassimo il Lago a se stesso, senza interventi che potremmo definire “invasivi”, e ci concentrassimo invece sulla chiusura degli scarichi e sul prelievo, allora credo che in 5-6 anni la situazione potrebbe davvero migliorare. Il Lago nel tempo si depura da solo, basta togliere il fosforo». Un’ipotesi interessante, condivisa anche dal professor Saroglia il quale rivolge la sua attenzione anche a proposte “estere”: «Sono d’accordo con Paolo. Il prelievo di materiale ricco di fosforo dal fondo è ciò che più di ogni altra cosa ha portato dati positivi concreti. A questo aggiungerei anche i bypass di alcuni scarichi fognari, di costruire quindi delle piccole opere idrauliche che evitino ai Comuni di riversare materiale direttamente nel Lago. Come tempistiche, senza interventi invasivi e sfruttando nel modo migliore il prelievo, ritengo che in 3-5 anni si potrebbero vedere dei segnali molto promettenti anche se credo che ci vogliano almeno 10 anni per avere cambiamenti sostanziali. Oppure si potrebbero aggiungere ceppi di pesci che facilitino un certo consumo di fosforo sul fondo in modo da contribuire così a tenere buone le condizioni delle acque. Interessante sarebbe anche un’azione più locale, cominciando delle ricerche israeliane su tecnologie avanzate come il BIOFLOC, un progetto che a basso costo porterebbe ad un’amplificazione dei meccanismi biologici naturali del Lago». Da parte della Provincia invece azioni concrete e ufficiali ancora non ce ne sono ma la soluzione a cui pensa l’ingegner Peroni è strettamente collegata al collettore di Gavirate: «Servirebbe un adeguamento degli sfioratori alle portate previste dalla norma. Una volta portato a termine questo, bisognerebbe vedere cosa succederebbe in caso di forte pioggia: forse con una portata d’acqua inferiore il collettore andrebbe in pressione meno volte riversando così meno liquami nel Lago. Questo potrebbe già essere un importante aiuto per il Lago ma ripeto che purtroppo è molto difficile realizzarlo».
Conclusioni
“Che cosa stiamo facendo per il nostro Lago”? Alla domanda che i varesini si pongono, purtroppo una risposta è già stata data. In questo momento non ci sono progetti avviati né azioni imminenti. C’è amarezza per una situazione che non sembra trovare soluzione. Passano gli anni, cambiano le amministrazioni e le giunte comunali ma lo stato di salute del Lago rimane invariato.
A volte quando si passeggia attorno sulla pista ciclabile attorno al Lago (che in uno slancio di ecosensibilità qualche amministrazione ha voluto), si notano gli sguardi sconsolati di persone che guardano il “grande malato”. Forse qualcuno ricorda gli anni in cui nuotava in un lago pulito e amico. Non c’è dubbio che la sua condizione resterà sempre un tema attuale: ciò di cui però ha bisogno il Lago è qualcuno che agisca al di là di parole e proclami, di qualcuno che sia l’eroe, non quello che il lago merita ma quello di cui ha bisogno.
Scrivo questa breve storia da varesino e giungo ad una conclusione consolatoria: se confrontata con il passato infatti, la situazione odierna appare tutto sommato migliorata. Gli interventi delle amministrazioni comunali e le azioni delle diverse associazioni che fin qui si sono mosse in prima linea per il Lago, infatti, hanno dato i loro frutti e, per esempio, la quantità di fosforo presente nella sue acque è diminuita circa del 80%. È poco, ma è un inizio.
Spesso però mi piace cambiare prospettiva. Guardare le cose da altri punti di vista cercando lati positivi anche nelle circostanze più negative mi fa sentire bene. Non mi piace arrendermi. Penso al Lago di Varese e immagino le sue rive calme e la pace che le sue acque trasmettono. Mi immagino di vedere i pesci che si muovo appena sotto il pelo dell’acqua, sento il battere delle ali degli aironi rossi che sfiorano la superficie, il nuotare dell’anatre, il soffio del vento tra i canneti.
Pensandoci, rimane l’amarezza per lo spreco di un vero tesoro.
Rimane però anche la speranza, appesa alla forza e al coraggio di chi, per anni, ha speso energia e passione per combattere una guerra inevitabile ma necessaria.
Il lago è prezioso. Bisogna abbracciarlo, i cittadini, il Comune e tutta la Provincia. Perché il Lago deve vivere.
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