
L’Isis e la “guerra delle dighe”

di Athos Guerro
Da millenni il Tigri e l’Eufrate hanno segnato in maniera indelebile l’evoluzione del genere umano, fornendo le risorse necessarie affinché civiltà come assiri, sumeri e babilonesi fiorissero nel cosiddetto territorio della “Mezzaluna fertile”. I due corsi d’acqua, provenienti entrambi dalle montagne turche, sono tutt’ora fonti di primaria importanza per i milioni di persone che popolano le zone da loro raggiunte, sia in Iraq che in Siria, i due Paesi attraversati dai due fiumi prima del loro congiungimento a pochi chilometri di distanza dal Golfo Persico.
La gestione oculata di tali risorse idriche, di estrema importanza data l’aridità che affligge la quasi totalità del Medio Oriente, rappresenta pertanto un aspetto essenziale della vita locale: negli ultimi decenni, infatti, lungo entrambi i corsi d’acqua è stato eretto un gran numero di dighe, in modo tale da evitare gli insostenibili sprechi che si verificavano ciclicamente in occasione delle piene. A causa dell’instabilità politica venutasi a creare nell’area da una manciata d’anni a questa parte, resa ancor più grave dall’entrata sulla scena internazionale del sedicente Stato Islamico, il controllo dell’acqua ha assunto una valenza sempre più accentuata: il riscaldamento globale ha infatti contribuito a rendere ancor più inospitali ampie fette dei territori un tempo sotto il pieno controllo di Siria e Iraq, incrementando in tal modo il valore dei due fiumi, vere e proprie oasi immerse in un territorio sempre più inospitale. I seguaci del califfo al-Baghdadi hanno dunque profuso molti dei propri sforzi nella conquista delle sopracitate dighe, la cui gestione ha permesso loro di imporsi in una posizione predominante sugli abitanti locali. Già prima dell’effettiva nascita del Daesh, sorto ufficialmente nel giugno del 2014, il controllo delle fonti idriche ha giocato un ruolo di primo piano nella propaganda dell’Isis, soprattutto durante le fasi di maggior espansione: le popolazioni dei nuovi territori conquistati erano infatti consci che l’adesione allo Stato Islamico avrebbe comportato una maggiore disponibilità del bene più prezioso per l’essere umano; viceversa, una strenua opposizione ai miliziani avrebbe provocato la cessione di ogni fornitura idrica, con il rischio concreto di morire di sete vista l’incapacità di essere raggiunti da rifornimenti adeguati.
Prima che la controffensiva internazionale condotta da Usa, Russia e Paesi arabi avesse inizio, i dati riguardanti il controllo delle dighe da parte dell’Isis erano decisamente preoccupanti: nel corso degli ultimi 3 anni, difatti, il Califfato ha controllato a più riprese cinque delle sei dighe costruite sull’Eufrate tra Iraq e Siria, arrivando ad insidiare ripetutamente anche la diga di Haditha, ossia la struttura che produce la maggior quantità di energia idroelettrica nell’intero Iraq: grazie al loro operato i miliziani sono così stati in grado di regolare la fornitura di elettricità, altro elemento che in una regione non certo abbondante in quanto a ricchezza pro-capite può generare una marea di consensi per chi se ne assicura il controllo. Per quanto riguarda invece le strutture presenti su fiume Tigri, il confronto diretto tra le forze armate irachene e le milizie si è spesso concentrato nei pressi della diga di Mosul. Si tratta di un sito fondamentale per l’approvvigionamento della capitale Baghdad, dove nonostante le vicissitudini degli ultimi dieci anni vivono ancora più di sette milioni di persone. Pur controllando la vicina città, la diga – distante circa 35 chilometri dal centro abitato – rimane per ora fuori dall’ingerenza dello Stato Islamico, che qualora ne entrasse in possesso potrebbe verosimilmente decidere di farla saltare in aria, provocando in tal modo una piena tale da infliggere alla capitale irachena danni di enorme portata.
Com’è ormai noto, la ristrutturazione di questo impianto ormai desueto è stata affidata ad una ditta italiana, che per l’intera durata dei lavori sarà sotto la protezione di un contingente del nostro esercito: un ruolo delicato in una posizione strategica, la cui difesa potrebbe infliggere un danno più che rilevante al Daesh. Proprio la difesa di questa fondamentale diga, unitamente alla riconquista delle altre strutture simili ancora in mano allo Stato Islamico, può rappresentare un passo in avanti tanto efficace quanto le tattiche militari adottate attualmente: senza né acqua né elettricità nei territori occupati inizierebbe a serpeggiare il malcontento, privando così l’Isis di quella legittimazione interna che ha costituito finora una delle sue principali spinte. A quel punto, un’entità composta in buona parte da foreign fighters ma con scarsa presa sulla popolazione locale quale destino potrà mai avere?
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