
Corsa al biologico: è davvero la chiave d’un futuro ecosostenibile?

di Sivia Calcavecchia
Negli ultimi decenni si è notata un’inversione di tendenza da parte dei consumatori. Se un tempo si prediligeva un prodotto che appariva invitante, omogeneo, dalla forma perfetta e dal colore vivo e lucido simil mela di Biancaneve, oggi, sempre più acquirenti, prestano più attenzione alle caratteristiche igienico-sanitarie e nutrizionali. Questo cambiamento è dovuto, in prima linea, ai vari scandali alimentari che si sono susseguiti nel corso degli anni. Si è passati infatti dalla sindrome della mucca pazza, alla carne umana servita nei ristoranti; dalle uova marce adoperate per la produzione di panettoni, ai topi nelle confezioni di cibo in scatola; dall’acqua contaminata, ai surgelati farciti di sostanze tossiche. In risposta a questa produzione alimentare reputata “scandalosa”, c’è stato un incremento della produzione biologica. Di certo i motivi sono diversi e secondo Monica Valentini, studentessa dell’Università di Parma e consumatrice abituale di prodotti bio, alcuni di questi sono: «l’incremento esponenziale di informazioni e sponsorizzazioni di prodotti tramite blogger e youtuber ma anche una maggiore voglia da parte della gente di interrogarsi, oltre alla diffusione di mercatini, negozi specializzati e reparti ad hoc nelle grandi distribuzioni organizzate». Parole come “bio”, “green”, “natural”, “natura bio” sono i nomi che sembrano essere più in voga in questo periodo. Ma si sa veramente cosa sia il biologico? Secondo l’intervistata, il biologico è «uno stile di vita che dovrebbe essere seguito da tutti coloro che provino un briciolo di amor proprio e per l’ambiente». Volendo scendere nel dettaglio, tale concetto è ben spiegato dal Reg. CE n. 834/07 che definisce questa produzione come: un sistema globale di gestione dell’azienda agricola e di produzione agroalimentare basato sull’interazione tra le migliori pratiche ambientali, un alto livello di biodiversità, la salvaguardia delle risorse naturali, l’applicazione di criteri rigorosi in materia di benessere degli animali e una produzione confacente alle preferenze di taluni consumatori per prodotti ottenuti con sostanze e procedimenti naturali. Ed è proprio questo che i produttori del bio cercano di fare con impegno ogni giorno. Dai dati elaborati dagli Organismi di Controllo sulla base delle elaborazioni del SINAB – Sistema d’Informazione Nazionale sull’Agricoltura Biologica- si è notato come in Italia gli operatori del settore siano in netto aumento considerando che, nel 1999 erano 47.283, nel 2000 erano 54.004, nel 2014 risultano ben 55.433.
Di certo non manca lo scetticismo attorno a tutto ciò che concerne questo mondo, in molti infatti, sostengono che si tratti di una delle nuovissime mode al momento in voga. Questo scetticismo sarà forse frutto del notevole incremento di store, di slogan pubblicitari e l’inversione di tendenza di vecchi brand che producono oggi anch’essi biologico? Per Monica Valentini una delle cause è stato l’incremento di «tutte le blogger», oltre al fatto che «sembra faccia chic!» In realtà, quello che molti non sanno, è che questa “filosofia” esiste già dagli anni Settanta ed è sorta dopo il grande boom industriale degli anni Cinquanta. Gino Girolomoni, è stato il pioniere del biologico e il fondatore di Alce Nero, uno dei più importanti brand di produzione biologica attualmente in commercio. L’obiettivo di allora, come quello di oggi, è quello di far riemergere le idee legate ad un modo di produzione più naturale volta ad uno sviluppo ecosostenibile che possa durare nel tempo. Accorgimenti quali: lo sfruttamento non intensivo del terreno, l’utilizzo di materiale organico e appropriate tecniche agricole, hanno permesso di salvaguardare la fertilità naturale del terreno, dal momento in cui questo metodo ha un impatto nullo per l’ecosistema. Biologici sono anche i sistemi di allevamento che, al contrario di quelli di molte aziende, sono volti prima di tutto al benessere dell’animale che viene nutrito con un’alimentazione anch’essa biologica. Gli animali sono liberi di muoversi in ampi spazi e non assumono prodotti come antibiotici o ormoni che ne stimolino artificialmente la crescita o la produzione di latte. Facendo una rapida mappatura del territorio nazionale, si scopre che le zone del meridione siano quelle in cui vi è una maggiore concentrazione di aziende biologiche, forse favorite dal clima e dalle caratteristiche del territorio. Per quanto riguarda invece le aziende di trasformazione, l’Emilia Romagna sembra la prima in classifica, seguita dalla Lombardia e dal Veneto. Circa il 70% della superficie coltivata biologicamente è impiegata per la produzione di foraggi, prati, pascoli e cereali per poi passare a quelle arboree quali: olivo, vite, frutta e agrumi. Senza dubbio però, avviare una produzione biologica comporta delle spese più alte rispetto alle produzioni convenzionali. Ciò è dovuto all’ impiego di concimi naturali che hanno costi più elevati di quelli chimici, spesso il raccolto, pur essendo di qualità migliore, risulta inferiore in quantità e per bonificare le piante infestate da parassiti si deve operare con interventi meccanici e manuali generalmente onerosi. Insomma, ottenere un prodotto biologico comporta più cura, più lavoro e più costi. Ecco spiegato perché questi prodotti costino di più rispetto a quelli convenzionali e per molto tempo la vendita sia stata ristretta a negozi specializzati con consumatori di nicchia. Da qualche anno, però, gli alimenti bio sono diventati più reperibili, facendo il loro ingresso nei market e negli ipermercati in piccoli scaffali posti in qualche angolo. «Hanno prezzi ancora alti è vero, ma la gente inizia a stare più attenta a ciò che serve in tavola, legge le etichette e preferisce spendere qualcosa in più per un alimento sano. Il fatto che questi prodotti stiano aumentando, mi fa capire come le aziende cerchino di adattarsi alle esigenze del consumatore e che il bio stia conquistando ormai una grossa fetta di mercato» sostiene entusiasta l’intervistata. Ma cosa spinge realmente un consumatore a comprare un prodotto biologico nonostante il prezzo ancora non contenuto?
Per Monica Valentini è la ricerca della genuinità: «cerco ingredienti veramente utili al mio organismo e così facendo cerco anche di tutelare l’ambiente». Facendo un giro per l’Esselunga di Via Emilia Ovest, a Parma, ci si accorge, osservando per qualche minuto la gente affaccendata, di quanti si fermino a prendere prodotti nel reparto dedicato al biologico. Un ragazzo che era indeciso se prendere i pomodorini pachino o quelli ciliegino, risponde così al suddetto quesito: «la speranza che non vi siano sostanze nocive per il mio organismo e la consapevolezza che usando quel prodotto ho anche rispetto per l’ecosistema. Amo le cose genuine e senza additivi e il fatto che siano sottoposte a maggiori controlli mi dà sicurezza oltre al fatto che abbiano valori nutrizionali maggiori». Sembra quindi che quel logo verde con la fogliolina stampata nelle varie confezioni sia una garanzia di “buona qualità” e sempre più consumatori sono alla ricerca di quei sapori “primitivi” che danno la sensazione di un frutto appena colto. Per quel che concerne il rapporto salute-biologico, sembra che davvero vi siano dei reali benefici e a dimostrarlo è la stessa scienza. Facendo un confronto tra un alimento coltivato biologicamente e un altro prodotto in modo convenzionale si è notato come l’alimento biologico presentasse meno tracce di metalli pesanti e di pesticidi e che al tempo stesso contenesse più antiossidanti. I rigorosi controlli a cui la produzione bio è sottoposta, diversamente da quanto accade nelle industrie convenzionali, permette inoltre di smascherare con più facilità i “furbi” che vedono nel biologico una fonte di guadagno producendo un “falso bio”. Il biologico è un modello di produzione sostenibile che evita lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, del suolo, dell’acqua e dell’aria, controbilanciando il degrado, l’impoverimento del suolo, l’inquinamento delle acque provocati dalle convenzionali aziende a causa del massiccio uso di concimi chimici, fitofarmaci e enormi consumi idrici richiesti. Una diffusione più ampia del biologico contribuirebbe quindi a migliorare la qualità dell’ambiente che grazie a processi di produzione naturali, evitano il ricorso a pratiche dannose per il suolo (principalmente lavorazioni intensive e utilizzo di sostanze chimiche) favorendo anche l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili. Per far sì che questo avvenga però, «bisognerebbe che tutti adottassero la filosofia del bio perché al momento con le piogge acide, i terreni sempre più concimati, Il biologico non può essere al 100% tale in quanto ogni cosa è concatenata l’un l’altra» conclude la studentessa. Il mercato biologico ha quindi tutte le carte in regola per poter essere definito un settore stabile e in continuo sviluppo; la filosofia del seguire l’andamento imposto dalla natura stessa, senza inutili forzature, lo rende lo strumento ideale per salvaguardare sia noi che l’ambiente favorendo unrinascita e crescita ecosostenibile”.
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