
Edilizia antisismica: una strada per salvare vite, un’opportunità per il Paese.

di Michela Caramella
Viviamo in un Paese ad alto rischio sismico, e ogni volta che accade l’ennesima tragedia dibattiamo su si sarebbe potuto e dovuto fare, sul mancato rispetto delle norme antisismiche, sulla fragilità del nostro territorio e sulle differenze tra l’Italia e altri Paesi ad alto rischio sismico come la California, il Giappone e persino il Cile, dove il recente fortissimo terremoto del 25 dicembre non ha provocato neppure una vittima. In questi Paesi l’edilizia antisismica è affermata e diffusa, a differenza di quanto avviene in Italia.
“Sappiamo che il nostro tessuto urbano è in larga misura costituito da edifici storici, ma questo non significa che non possiamo e dobbiamo mettere in sicurezza i nostri centri abitati.”
Un piano per la messa in sicurezza del Paese potrebbe essere un punto di svolta anche per la nostra economia. Lo Stato, dall’agosto 2013 (legge n. 90/2013), concede una detrazione fiscale del 65% per le ristrutturazioni volte a mettere in sicurezza gli edifici nelle zone sismiche ad alta pericolosità. Come tutte le detrazioni, è soggetta a vincoli e limitazioni, ma almeno è un inizio. Non conosciamo i dati relativi agli effetti della detrazione, in quanto al momento è ancora in corso un’interrogazione parlamentare a risposta scritta presentata al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e al Ministro dell’economia e delle finanze, il 21 aprile 2016 dalla deputata Claudia Mannino (M5S), dove si chiede “quale sia il numero e l’entità finanziaria complessiva degli interventi di adeguamento antisismico che abbiano beneficiato… delle suddette agevolazioni fiscali” e “quali risultati siano stati ottenuti dal 4 agosto 2013 — data di entrata in vigore del provvedimento a favore degli interventi di adeguamento antisismico — in termini di detrazione del 65% riconosciuta al contribuente che ha proceduto alla realizzazione degli interventi”.
La finanziaria 2017 prevede alcuni miglioramenti importanti. La detrazione è stata estesa anche per gli edifici che ricadono in zona 3 (le zone 1 e 2 sono quelle a maggior rischio sismico, con l’inserimento della zona 3 in questo provvedimento si copre ad esempio quasi tutta l’Emilia Romagna e la Toscana). Altra novità è il recupero della detrazione in 5 quote annuali invece di 10, aiutando i cittadini a sostenere le spese con un più rapido recupero degli investimenti, ma limitando la potenzialità di pieno utilizzo della detrazione alle fasce di reddito meno basse. Dare ai contribuenti flessibilità nella scelta del numero di quote da ripartire, dando la possibilità di scegliere in quanti anni recuperare la spesa, avrebbe lasciato anche ai redditi più bassi lo spazio per ottenere la detrazione massima. Altro intervento è stato fatto sulla percentuale della detrazione, che dall’iniziale 50% è passata al 65%, per arrivare ad un ulteriore incremento con la nuova finanziaria: 70% in caso di passaggio ad una classe di rischio sismico inferiore, 80% se il passaggio è a due classi di rischio in meno; 75% e 85% invece per gli interventi antisismici relativi a parti comuni di edifici condominiali con rispettivamente il passaggio ad una o due classi di rischio sismico inferiore.
“Una detrazione dell’85% per tutte le opere di messa in sicurezza antisismica, portando gli edifici coinvolti alla massima classe di sicurezza possibile, indipendentemente dal livello di partenza, significherebbe scommettere con più decisione sulla messa in sicurezza del Paese e potrebbe costituire un punto di svolta anche per la crescita del nostro Pil e per il miglioramento debito pubblico, con la possibilità di arrivare a numeri di significativo impatto.”
L’Istat, nell’ultimo censimento (2011), stima essere 24 milioni le unità abitative del nostro Paese, di cui possiamo presuppore ben oltre la metà (75%) in zone ad elevato rischio sismico, se consideriamo anche la zona 3. Se poi stimiamo in circa il 60% il peso degli edifici di costruzione precedente agli anni 70 (anni in cui vengono definite le prime norme antisismiche per le nuove costruzioni), e consideriamo che di questi almeno un terzo sarebbe da adeguare, arriviamo a oltre 3 milioni e mezzo di unità abitative. Con una spesa media di 20.000 euro ad unità, il giro di affari che ne risulterebbe sarebbe di circa 70 miliardi di euro, che darebbero un forte impulso all’economica del Paese e che porterebbero ad un minor costo di ricostruzione a carico dello Stato per i danni dei terremoti che si susseguono con preoccupante periodicità nel nostro paese. La flessibilità nella scelta del numero di anni in cui ripartire le quote della detrazione consentirebbe allo Stato di spalmare negli anni l’investimento, ma immeditao sarebbe il beneficio generato dall’IVA versata e dagli utili delle imprese, oltre che da un incremento dell’occupazione. Tutto questo con il beneficio incalcolabile di meno vittime e meno dolore.
Foto in evidenza by paul morris Italy
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