
No pepsy. No Cola. We want drinking water.

Di Matteo Cultrera
Né Pepsy. Né Coca Cola. Solo acqua potabile. Non è uno slogan nutrizionale, né il parere attento di un medico che si preoccupa di quante zuccheri e calorie “liquide” introduciate seguendo un certo regime alimentare. Si tratta piuttosto della voce di una protesta passata in sordina per la maggior parte dei media tradizionali, ma che ha fatto un certo rumore nel sud dell’India nel 2004 contro Coca Cola Company.
Le accuse mosse dalla popolazione alla multinazionale riguardavano la negligenza dell’azienda nello sfruttare indiscriminatamente le risorse del regime idrico indiano, povero già di per se, necessarie per la produzione in bottiglia dell’omonima bevanda, come anche l’ assenza di politiche ambientali attente in merito a sostenibilità dell’acqua.
“Per ogni litro di bevanda alcolica che l’azienda produce occorrono tre litri di acqua potabile.”
Così l’India ha richiesto quarantasette milioni di dollari di risarcimento a Coca Cola per il presunto danno ambientale, costringendola nel 2005 a chiudere uno dei più grandi stabilimenti produttivi in loco.
Un potere incontrollato, percepito spesso come pericoloso dalle popolazioni locali, quello che un ente governativo o una multinazionale possono avere quando si insediano in un paese in via di sviluppo. Eppure colossi aziendali come Coca Cola lavorano sodo per guadagnare e mantenere il rispetto e la fiducia dei loro clienti, anche in India, certo non necessariamente per filantropia umana, ma perché è nel loro interesse farlo. Per questo motivo dopo gli incidenti in India Coca Cola ha rivisto la sua politica sulla sostenibilità dell’acqua spingendo Muhtar Kent, amministratore delegato di Coca Cola, ad affermare che tra le intenzioni di Coca Cola c’è l’obbiettivo di rendere l’azienda “water neutral” entro il 2020, restituendo ogni litro di acqua usato per la produzione della bibita. Manterranno davvero la promessa fatta? Vedremo.
Foto in copertina: Taylor Swayze
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