
Acqua bianca, Whiter: così il disastro apuano si fa “contemporary issue”

di Francesca Fontana
Non abita le Apuane, ma le ha conosciute, Andrea Foligni: pratese, con anni di esperienza come grafico sulle spalle, da cinque anni ha scoperto d’avere anche la fotografia nel sangue. Una passione che è arrivata dopo quella per le alpi toscane, con le quali, mi dice, è stato un vero “colpo di fulmine”. Ci è arrivato grazie a un amico e si è lasciato “abbagliare”. Poi, da buon camminatore, non ha smesso di tornare. Così è nato presto un legame forte, d’amore, lo stesso che lo ha portato a mettersi dalla parte di chi da anni combatte contro la loro distruzione. Evidente, progressiva, veloce, inarrestabile. Quella provocata dall’intensa attività estrattiva per prelevare il marmo che ha reso Carrara celebre. Di questo, come del maiale, non si butta via niente. Per questo, dal 2013, si è voluto concentrare soprattutto su detriti e scaglie: che, in media, corrispondono a tre quarti di quel che alla montagna si prende e che, trasformati in carbonato di calcio, hanno un vastissimo impiego industriale.
“Ogni volta che vengo ne manca un pezzo” ci dice Foligni, e se amore è amore non poteva non raccontarlo. Per lui, infatti, la fotografia dev’essere di contenuto: deve avere come oggetto qualcosa che sia d’interesse collettivo. Com è – o dovrebbe essere – il disastro apuano: la scomparsa di un paesaggio unico al mondo, sacrificato in nome del mercato, in nome del profitto. Questo racconta il suo primo progetto, Carbonato apuano, e lo racconta così bene che lo ha portato, di riconoscimento in riconoscimento, fino alla finale di Lensculture. E senza fermarlo, perché qui, in queste montagne che non difendiamo, non accade solo questo: mentre a poco a poco si esauriscono, è l’intero ecosistema a essere irreversibilmente compromesso. E così Foligni ha voluto andare più a fondo. Partecipando agli incontri dedicati, studiando. Guardando i video di Alberto Grossi e parlando con Giulio Milani, che del problema ne ha fatto un libro. Come dicevamo, seguendo, in un approfondimento continuo che va sempre oltre il sopralluogo, tutte le battaglie che per le Apuane da anni si combattono. “Dal carbonato alla marmettola è stato breve il passo” e, difatti, un anno dopo ha preso forma un altro progetto. Whiter, ossia acqua bianca, è il suo nome e denuncia i fiumi sempre più bianchi del carrarese: la morte delle riserve idriche apuane. “Morte per cementificazione” si legge. Quella provocata dalla polvere di marmo che, abbandonata o sversata illegalmente, si insinua nelle fessure e arriva alle acque, distruggendo ogni habitat e ogni sua specie e alternandone i parametri, chimicamente e pesantemente, così carica d’oli e metalli d’ogni genere. Per i mal condotti processi di lavorazione; perché s’interpretano a favore del mercato, a favore del profitto, le norme in vigore. Il tutto a danno dell’ambiente edella nostra salute e, oltretutto, con altissimi costi a carico dell’utente – 250000 gli euro spesi da GAIA nell’ultimo anno per la depurazione. Questo denuncia Foligni, con un linguaggio tra il documentario e il pubblicitario, ancora una volta scegliendo da che parte stare. Ha intenzione di proseguire: lo sa che questo rifiuto speciale attacca dalla sorgente alla foce e, per questo, dalle montagne, seguendo Frigido e Carrione, vuole arrivare sino al mare.
Nel frattempo, però, Whiter ha già raggiunto una risonanza mondiale: in vetrina per la finale, come “Contemporary Issue”, del Sony World Photography Awards 2017. Insieme agli altri finalisti e agli ultimi fotografi vincitori, sarà esposto a Londra dal 21 maggio al 7 aprile – a 13 giorni da quella che sarà la proclamazione. Dita incrociate, dunque, per una possibile, importante, consacrazione, mentre già è arrivata – racconta – la più grande soddisfazione e cioè: “Vedere che un tema che ti sta a cuore, che ti appassiona e ossessiona al punto da spenderci fatica soldi e tempo, è riuscito ad avere forma e voce e ad arrivare a qualcuno che sta dall’altra parte del mondo, ma capisce: capisce benissimo di cosa stai parlando e soprattutto condivide il tuo punto di vista proprio grazie al tuo lavoro. Questo – ci dice – è impagabile”. Impagabile come per noi dovrebbe essere sapere che il grido delle Apuane può arrivare chissà dove e magari fermare, finalmente, il loro dolore. Impagabile se, nella nostra ignoranza e distrazione, diamo spazio alla consapevolezza oltre che all’emozione. Anche solo per non pentircene quando sarà davvero finito il tempo a disposizione: per salvare queste preziose montagne vista mare e le loro acque, che non possono (più), non devono (più) andar perdute. Ché, se accadesse, come già ha iniziato, nessuno mai ci potrà perdonare.
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