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Fado, storia di un canto d’oceano che piange una terra intera

Fado, storia di un canto d’oceano che piange una terra intera

di Lucia Cicciarelli

Ci sono popoli che, più di altri, vedono il pianto e le lacrime come la massima esternazione dell’orgoglio del proprio Paese. Il Portogallo è uno di questi e lo fa attraverso il Fado, ora patrimonio mondiale dell’Unesco, da sempre espressione vocale e prolungamento degli occhi di un paese intero, che piange, di emozione e di malinconia, il proprio passato, racchiudendovi le grandi tematiche della migrazione, del viaggio e della distanza.
Fado è fatalità e destino, e questo lo dice già la sua radice latina da cui nasce la parola.
La sua natura in eterno divenire e ramificarsi in vari stili e generi, rende difficile anche una connotazione storica che ne stabilisca la nascita effettiva, anche se molte fonti fanno risalire i primi canti tra il 18esimo e il 19esimo secolo: al centro dell’evoluzione di questo embrione musicale c’è sempre l’acqua. All’epoca infatti era forte il traffico marittimo che collegava il Portogallo al Brasile e a tutto il resto del mondo.
Il Fado usciva, quindi, dalle bocche di marinai portoghesi, li cullava nei viaggi notturni altrove, finché divenne ciò che è tuttora: un grido, una lacrima continua di malinconia e di tutte quelle cose inarrivabili, racchiuse sotto il sentimento della saudade.

Città che vai, Fado che trovi. Sì, perché ogni città del Portogallo ha adottato il Fado e se l’è cucito addosso, adattandolo alla propria quotidianità. Andando a Coimbra, ad esempio, sono solo gli uomini a cantarlo e suonarlo, utilizzando come luogo di apprendimento l’università, per poi diffondere la voce e la musica nelle vecchie chiese e nelle ex cappelle. Fado spontaneo in stradaLisbona, casa madre del Fado, ha invece fatto del canto qualcosa di tutti e per tutti. Tutti possono cantarlo e trasformare in musica il dolore di ogni giorno.
Non è un caso se la punta di diamante e l’emblema di questo “stile di vita”, se così si può dire, fu Amalia Rodrigues, una donna dalla vita difficile, proveniente da una famiglia austera e povera di affetto. Le sue relazioni travagliate, uomini che hanno tentato in tutti i modi di farla affogare nelle acque scure della vita, hanno trovato la propria compiuta espressione nel Fado, rendendolo ancor oggi il simbolo di un canto nazionale. Fu lei stessa a dire che il Fado si esprimeva attraverso la sua voce, e non viceversa.

Il Fado non è né allegro né triste, è la stanchezza dell’anima forte, l’occhiata di disprezzo del Portogallo a quel Dio a cui ha creduto e che poi l’ha abbandonato: nel Fado gli dei ritornano, legittimi e lontani.

Il Fado è, quindi, rottura di sogni e di speranze comuni, riscatto sotto forma di versi e voci impetuose e di anime di ferro e aria. È un fiume che attraversa il Portogallo nella sua interezza, leviga e distrugge, sana e scompiglia.

Non esiste il Fado. Esistono solo i fadisti.

Questa frase ricorre spesso nei discorsi per le vie di Lisbona e tra quelli che di Fado ne hanno fatto un modus vivendi. Questo sta a spiegare come questo modo di cantare dia libertà di espressione a chi lo canta e lo interpreta. I fadisti intonano versi improvvisati, accompagnati dalla chitarra portoghese, rimandando a un passato di migrazioni, partenze e a tutti quei sentimenti di libertà popolare di un paese che ha vissuto una dittatura, quale quella salazarista e la successiva Rivoluzione dei garofani.

La semplicità di chi canta il Fado e la facilità di incappare in luoghi dove ascoltarlo vanno di pari passo. Questa musica infatti, scorre lungo la città, specie nell’Alfama, il quartiere artistico e sentimentale per antonomasia. Fado ad Alfama Tra le vie strette e i piccoli negozi di sughero e sardine, l’odore delle lacrime guida fino alle tascas, localini raccolti nei quali, prolungandosi fino al mattino, i cantanti di Fado, di ogni sesso e età, si vestono di nero e hanno il volto emozionato, gridano al mondo il sentimento di un paese intero, storie di vita quotidiana.
È la loro voce che, come fosse pioggia violenta e al contempo vapore delicato, dà forma a questi racconti musicali e ricopre i corpi e le menti degli ascoltatori che, nel buio quasi totale del locale, partecipano all’emozione da tutti condivisa.
Li vedi che hanno gli occhi stanchi, questo perché è abitudine di molti fadisti andare di locale in locale lungo tutto il corso della notte. Danno il proprio contributo, e poi con umiltà, mentre ancora sui tavoli e nella cera delle candele si percepisce la loro voce, svaniscono alla ricerca di altre orecchie che li ascoltino.

E, quando si lascia il Portogallo, se si chiudono gli occhi, si riesce a sentire ancora addosso qualche goccia di Fado che chiede libertà e ascolto.

Fadista

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