
La raccolta delle acque nei Sassi di Matera

Simona Pellegrini
“Ho visto un precipizio, lì dentro c’era Matera. Chiunque la veda non può non restarne colpito, tanto è espressiva e toccante la sua dolente bellezza “: così Carlo Levi descrive la città dei Sassi in “Cristo si è fermato a Eboli”.
Capoluogo di provincia della Basilicata, Matera è una delle città tuttora abitate più antiche del mondo: i primi insediamenti risalgono alla preistoria. Crogiolo di culture, dai greci ai bizantini.
“Vergogna nazionale” nel 1952, Matera abbandonata e dimenticata, per poi essere riconosciuta dall’UNESCO come “Patrimonio dell’umanità” nel 1993, la città che rinasce e diventa una delle mete più visitate in Italia. E adesso, Matera Capitale europea della cultura per il 2019.
Terra di contrasti e contraddizioni, inferno e presepe nei film in cui ha fatto da scenografia. Matera che cambia, argilla che viene plasmata dall’acqua nel corso dei millenni. Matera che resta sempre la stessa.
Il Torrente Gravina che la spacca in due delimitando i due antichi rioni della città : Sasso Barisano e Sasso Caveoso.
Territorio aspro e selvaggio, che non ti abbandona nemmeno quando lo si lascia : “ delle città dove sono stato – afferma Giovanni Pascoli – Matera è quella che mi sorride di più, quella che vedo meglio ancora, attraverso un velo di poesia e di malinconia”
Ma è l’acqua la vera protagonista, il più fine regista di un paesaggio mozzafiato. La città fonda infatti la sua esistenza su un complesso sistema di raccolta della acque, non si tratta di acqua piovana, ma di acqua di falda.
Presupponendo che i Sassi sono un agglomerato di abitazioni scavate nella calcarenite l’esigenza di raccogliere l’acqua ha portato i suoi abitanti a costruire cisterne collegata tra loro da vasi comunicanti. E’ recente, a seguito di un restauro, la scoperta di una serie di cisterne e canali di adduzione dell’acqua.
Tre metri sotto i piedi di chi attraversa Piazza Vittorio Veneto un baratro scende per altri 14 metri. Si tratta di una cisterna chiamata “Palombaro”, un vero e proprio gioiello di ingegneria idraulica che copre 350 mq e può contenere fino a 3 milioni e mezzo di litri d’acqua.
La particolarità delle cisterne dei Sassi e del Palombaro è il rivestimento delle pareti, intonacate a cocciopesto (costituito da cocci di terracotta pestati) utilizzati fin dall’antichità per impermeabilizzare le pareti di roccia e consentire la raccolta delle acque.
La colossale opera risale al 1845, ma è frutto di un lavoro progressivo. Nel 1927 viene poi realizzato l’acquedotto e si procede allo svuotamento e alla chiusura del Palombaro. Una falda però continua ad alimentarlo, così nel 1991 a causa di alcuni lavori per la sistemazione della piazza si giunge alla scoperta dell’enorme opera sotterranea ormai colma fino all’orlo.
Il visitatore dei Sassi è spesso ignaro di ciò che si trova sotto i suoi piedi. Un sistema di straordinario valore architettonico che ha reso possibile a Matera di essere così come noi oggi la conosciamo.
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