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C’era una volta il Tevere

C’era una volta il Tevere

di Francesco  Rosi

L’iniziativa era partita con un obiettivo preciso: combattere lo sfregio, pezzo per pezzo. Ispirandosi a Parigi e alla Senna. Una sorta di occupazione al contrario, per riqualificare con esperienze positive spazi in preda all’abbandono, tra erbacce, rifiuti e baraccopoli. Roma da tempo cerca un riscatto per il Tevere, un suo simbolo, parte integrante del suo paesaggio: elemento costitutivo della sua identità.

Il primo passo sembrava essere stato compiuto dall’amministrazione la scorsa estate. Dopo polemiche e ritardi, ad agosto, era stata inaugurata “Tiberis”, la prima spiaggia sul fiume, realizzata all’altezza di Ponte Marconi, non lontano da Trastevere. Per buona parte dell’estate è rimasta aperta, con molti romani e turisti che ne hanno approfittato per prendere il sole, nel verde, su un prato inglese, dove non avrebbero mai immaginato: qui prima c’era solo sporcizia e insediamenti abusivi.

Ora però sembra arrivata la beffa. L’arenile va sbaraccato e anche in fretta: è abusivo. Non è, infatti, mai stato autorizzato dalla Soprintendenza del Ministero dei Beni Culturali, che ora ha chiesto al comune il ripristino dello stato dei luoghi. All’attacco anche alcune associazioni dei consumatori che hanno annunciato un esposto per danno erariale.

L’ennesimo episodio che racconta una sorta di incompiuta alla romana. Per ora tutte le iniziative messe in campo sono cadute nel vuoto. La conseguenza è questa: il fiume, in altre capitali europee, volano per lo sviluppo e il turismo, a Roma sembra una sorta di ostacolo, di inciampo. Questo perché manca una regia e un progetto preciso, che possa aggregare sforzi e risorse. L’auspicio è che il nuovo Ufficio Speciale Tevere che mette insieme i diversi enti competenti sul fiume – dalla Regione Lazio al Campidoglio alla Capitaneria di Porto – possa portare risultati.  Intanto molto fanno le associazioni di volontariato: organizzano eventi, momenti di pulizia collettiva della sporcizia che si accumula lungo le sponde. Certo: fanno quello che possono.

Serve, poi, vigilanza e controllo per evitare, come dimostrano diversi episodi di cronaca, che le sponde del fiume si trasformino in vere e proprie zone franche. Nel 2016, il Tevere è stato teatro della morte dello studente americano Beau Solomon: un giovane di diciannove anni, arrivato nella Capitale per seguire un corso universitario. A questo episodio si sommano scene di ordinario degrado: recentemente dalle acque del Tevere sono affiorate biciclette: la bravata di due ragazzi ubriachi che hanno pensato di documentare il loro gesto, con un video virale sul web. Il punto è manca illuminazione e sorveglianza sulle banchine.

 

E i vandali hanno gioco facile. L’amministrazione, tra le proposte, ha lanciato l’idea di inviare sulle sponde del fiume agenti della polizia municipale per il controllo in bici. E potrebbero venir utilizzati anche i droni. I detrattori dell’amministrazione hanno ribattuto che, come successo con Tiberis, anche le ricette sulla sicurezza rimarranno sul libro degli annunci.

Una situazione quella del fiume che amareggia anche chi ha voluto lanciare un segnale di speranza, facendo leva sull’arte. Ci ha provato il sudamericano William Kendridge, che nel 2016, ha realizzato un murale lungo il fiume. Si intitola “Trionfi e Lamenti”: più di cinquecento metri che raccontano successi e insuccessi; slanci e cadute della storia millenaria di Roma. E di beffa in beffa anche per questa monumentale opera sul fiume non c’è stata pace: è stata presa di mira e danneggiata più volte. Kendrige ha raccontato di aver lottato con tenacia per realizzarla: solo per avere le autorizzazioni si è dovuto confrontare con sedici soggetti diversi. E ora brucia, racconta, vederla vandalizzata perché manca il controllo

 

 

 

 

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