
L’acqua “campestre”: ecco il legame tra pianta e uomo

Di Sebastiano Moretto
“L’acqua è un elemento stra fondamentale”, afferma Carlo Caldieraro, agricoltore ventriquattrenne residente nella piccola realtà di Fossalato – in provincia di Venezia – dove, col padre Emanuele, gestisce l’azienda di famiglia: la ‘Caldieraro Emanuele, esercizio di macchine agricole per terzi’. Il loro è un lavoro, soprattutto se fatto tra “pochi intimi”, con ritmi stressanti, ai quali bisogna abituarsi in breve tempo. Ma chi lo impone? Non la persona, sicuramente, bensì il terreno. Carlo lavora stabilmente, ormai, da sei anni e mezzo, e ovviamente si è già messo sui binari giusti per imparare il mestiere del padre. Guarda caso, proprio nel 2012, la loro azienda ha acquistato altri 150 ettari di terra e – per questo motivo – hanno deciso di “adattarsi” di un impianto di irrigazione per coprire i 400-500 ettari che lavorano all’anno. Ma come si comporta il Veneto, sull’uso dell’acqua, per una grande vastità di terreno? “Siamo fortunati – dice Carlo – perché l’acqua arriva in azienda da sola, grazie al Consorzio di Bonifica, che svolge un ruolo fondamentale: durante l’estate si fa richiesta al consorzio che venga concessa e, tramite le pompe della stessa struttura e i livelli presenti nel territorio, l’acqua arriva in azienda naturalmente. Non andiamo a prenderela da un’altra parte, siccome abbiamo tutti i rigoli medio-grandi vicini ai vari campi”. L’uso dell’acqua per gli agricoltori, infatti, varia da regione a regione. In Friuli, per esempio, sono molto più organizzati: siccome hanno un terreno che tende molto a scolare, hanno costruito impianti fissi di irrigazione e poi lavorano a turni per un tot di giorni, in modo tale che l’acqua sia molto scaglionata. Come dicevamo prima, è il terreno che impone i ritmi alla persona, in concomitanza con il susseguirsi delle stagioni. A differenza del calendario gregoriano, quello dell’agricoltore si suddivide in due periodi, come ci spiega ancora Carlo: “Il periodo invernale serve, fondamentalmente, a preparare il terreno e metterlo a riposo, pulendo tutti gli appezzamenti con i contorni dei fossi, attraverso arature e movimentazioni profonde per ordinare il tutto. Attraverso ciò, si fa in modo che in inverno piogge e freddo facciano il proprio lavoro, facilitando quello che noi dovremo fare in primavera. Ed è proprio qui si inizia a preparare il terreno per i vari grani, soia e mais su tutti: ci troviamo nel periodo più tosto, ma anche più importante. Si parte con la semina del mais, intorno a metà aprile – anche se dipendiamo molto dal tempo -, poi quella della soia, a giugno raccogliamo il frumento e dell’orzo. Una volta raccolti quest’ultimi, si può mettere nello stesso campo ugual raccolto: al posto dell’orzo, il mais; al posto del frumento, soia. D’estate arriva il periodo dell’irrigazione. Ci sono tempi, come quello dell’anno appena trascorso, nel quale non è opportuno intervenire con grandi quantitativi di acqua, mentre nel 2017 abbiamo irrigato per più di un mese. Terminata l’irrigazione, cominciano le raccolte – che possono arrivare fino a novembre – prima di ricominciare a preparare i terreni per la raccolta di frumento. Poi il cerchio riparte”. I mesi più duri sono, chiaramente, quelli estivi, dove viene usata una grande quantità d’acqua: “Non saprei quante piscine olimpioniche potremmo riempire, ma penso molte. Ci sono anni in cui l’acqua è presente, altri in cui ce n’è meno. Tutto dipende da ciò che succede in montagna: se non nevica, si avrà poca acqua in estate e, quindi, un maggior controllo da parte del consorzio”. Mentre parla, Carlo descrive il suo lavoro come se non avesse altri interessi. Bugia, ovviamente, perché ne ha molti, ma l’amore con cui si preoccupa di descrivere ogni singolo passaggio del suo lavoro dimostra quanto sia affezionato. Intorno a lui, infatti, c’è una famiglia molto unita che conosce il significato del proprio lavoro. E l’educazione trasmessa dai genitori si riflette, inevitabilmente, anche nel mestiere che li accomuna. Il suo legame con le piante si manifesta in ogni parola che esprime, come se le conoscesse e ci parlasse: “Lo scopo dell’irrigazione è salvare la pianta in modo tale che, a fine stagione, si abbia un raccolto sostanzioso. Bisogna stare attenti nell’intervenire perché facendolo tardi e versandole un quantitativo d’acqua non indifferente per recuperare, si rischia di avere dei danni economici, siccome ci si investe tempo e denaro. La cosa migliore sarebbe dare una giusta misura d’acqua, magari in più colpi, per favorirle un crescita migliore”. D’altronde, “la pianta, secondo me, è come una persona: ha bisogno di mangiare e ha bisogno di acqua. Può rimanere un po’ di giorni senza bere, ma non si arriva al punto se si vuole avere un bel raccolto a fine anno”. Questa metafora racchiude, oltre all’amore di cui parlavamo prima, anche dell’importanza sì della pianta, ma soprattutto di come la si nutre. Per permetterlo, Carlo e i suoi colleghi devono avere un “badge” speciale che permette l’uso dell’acqua: in Veneto, infatti, si paga “una tassa sui terreni, che serve per lo scolo. Quindi diciamo che non la paghiamo direttamente, ma attraverso la quantità di ettari di campi, per non trovarci con i canali pieni”. Pagare per essere ripagati, sia economicamente che “sentimentalmente”: questa è la morale.
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Summary Un giovane agricoltore veneto ci racconta il rapporto tra Pianta e Uomo.