
Il cugino di Nessie parla comasco: il Lariosauro tra fossili e leggenda

di Gabriele Abbondi
Laghi, oceani, mari: le profondità abissali hanno sempre avuto un fascino misterioso per l’essere umano e innumerevoli sono le creature mostruose che da secoli popolano l’immaginario collettivo. Da più di 200 milioni di anni sembra che qualcosa si muova nelle scure acque del Lago di Como, tra gli anfratti nascosti e la fitta vegetazione di alghe. O meglio, nel Triassico Medio qualcosa cacciava nell’area della Tetide corrispondente: tra i fondali di questo immenso oceano preistorico viveva infatti il Lariosaurus, rettile acquatico appartenente all’ordine dei notosauri. Ed è qui che paleontologia e racconti popolari intrecciano le loro strade. Un mostro lillipuziano Con un corpo affusolato e una dentatura a tagliola simile a quella dei coccodrilli (con la chiusura del morso all’esterno delle fauci), il Lariosaurus era il più grosso predatore della sua epoca, nonostante una lunghezza stimata tra i 60 e 130 cm. Il primo fossile fu rinvenuto intorno al 1830 presso le cave di marmo di Perledo, località situata sul ramo lecchese del lago: a studiare e descrivere i resti di questa creatura ignota fu Giuseppe Balsamo Crivelli, nel 1839, sul periodico milanese «Il Politecnico». Solo nel 1847 Giulio Curioni diede un nome e una collocazione tassonomica ai reperti: Lariosaurus Balsami, in onore del suo predecessore. Nonostante il ritrovamento successivo di altri fossili in varie regioni dell’Europa centro-settentrionale e dell’Asia, la denominazione “rettile del Lago di Como” rimase invariata, per rimarcare la paternità nostrana della scoperta. Avvistamenti, ipotesi e suggestioni A riempire le colonne di diversi giornali lombardi, nel novembre 1946, fu un evento difficilmente incasellabile negli schemi tradizionali della cronaca. Due cacciatori, nel corso di una battuta tra i canneti del Pian di Spagna (zona paludosa nei pressi di Colico), dichiararono di aver scorto, a pochi metri dalla riva, un’enorme sagoma ricoperta di squame. Ancora oggi risulta difficile stabilire quanto fossero attendibili le fonti della vicenda e la penna chi le aveva messe per iscritto, tuttavia le apparizioni del presunto “mostro del Lago di Como” (o, più comunemente, Lariosauro), cavalcando l’onda dell’interesse mediatico, iniziarono ben presto a moltiplicarsi. Nel 1954 venne avvistato ad Argegno uno strana creatura lunga circa 80 cm, con il muso arrotondato e le zampe posteriori palmate. Nell’agosto 1957 qualcosa apparve nelle acque tra Dongo e Musso e, il mese successivo, perlustrando il lago con una batisfera, due biologi s’imbatterono in un animale lungo circa un metro, con le fauci simili a quelle di un coccodrillo. E poi il silenzio, fino al 2003, quando in un forum online un utente sostenne di aver visto, durante un’escursione sul monte Barro, una sagoma anguilliforme di 10-12 metri nell’area lacustre sottostante. Il ricercatore Giorgio Castiglioni ha cercato di fornire una spiegazione razionale a questi avvistamenti: gli eventi del ‘46 e dell’agosto ’57 erano invenzioni giornalistiche prive di fondamento, il “mostro” visto dalla batisfera era probabilmente un grosso luccio mentre la strana creatura del ’54 era una lontra, mammifero all’epoca ancora presente nel Lago. Per quanto riguarda la testimonianza del 2003, invece, si è pensato o a un banco di pesci che nuotavano compatti o a un gioco di riflessi di luce sulla superficie. Vi è, però, una certezza nell’alone di mistero che avvolge queste apparizioni: il presunto Lariosauro non è sicuramente un esemplare di Lariosaurus (nonostante l’ambiguità linguistica), in virtù del fatto che le specie animali si evolvono in relazione ai mutamenti ambientali e non è possibile che restino inalterate per più di 200 milioni di anni. Non è da escludere a priori l’esistenza di una creatura ancora ignota alla scienza ma, prima di tutto, occorre esercitare la ragione, onde evitare di lasciarsi suggestionare dall’indubbio folklore delle dicerie popolari.