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IL “LATO B” DEL VIETNAM (MA NON PER COLPA SUA…)

IL “LATO B” DEL VIETNAM (MA NON PER COLPA SUA…)

di Sebastiano Moretto

Il Vietnam, Paese del sud-est asiatico, ha un lato B. Non nel senso che intendiamo noi, ma semplicemente perché è sia, allo stesso tempo, Bello e Brutto, allo stesso tempo. Il primo epiteto si riferisce a una terra piena di tradizione e totalmente contaminata dalla natura; il secondo, al fatto che – seppur senza colpa – si trova a far fronte alla famosa guerra ventennale, nella quale gli americani hanno seriamente danneggiato la stessa natura, oltre ai civili che ci vivevano.

Il Vietnam non versa in condizioni ambientali terribili, ma vi sono alcuni segnali preoccupanti a riguardo. Essendo un paese agricolo povero e densamente popolato, gli uomini spesso devono contendere alle piante e agli animali le medesime risorse. Dal punto di vista geologico, il Paese presenta diverse caratteristiche interessanti, anche se quelle che colpiscono maggiormente sono le formazioni carsiche: depositi calcarei irregolari che l’erosione ha perforato con fessure, doline, grotte e fiumi sotterranei. La parte occidentale degli Altipiani centrali è famosa per il suo suolo rosso di origine vulcanica, estremamente fertile. Pur trovandosi decisamente sopra il livello del mare, gli altipiani tuttavia sono solo un territorio prevalentemente piatto e non particolarmente panoramico. Il fiume Mekong ha dato origine a uno dei delta più grandi del mondo, composto da fertile e finissimo limo che continua a essere trasportato a valle da milioni di anni e ha consentito la crescita di una lussureggiante vegetazione tropicale.

Nonostante la densa deforestazione, il Vietnam possiede ancora una vegetazione ricca e varia, tipicamente tropicale. Si calcola che nelle foreste ancora esistenti vivano oltre 12.000 specie di piante, di cui soltanto 7000 sono state identificate e 2300 vengono utilizzate dall’uomo come fonte di cibo, medicinali, foraggio, legname o altro. Queste selve, tuttavia, nel corso dei millenni si sono ridotte numericamente sempre più, prima per permettere la coltivazione del riso e di altri prodotti, poi per soddisfare le esigenze di una popolazione in rapida espansione e per i disastri provocati dalla guerra con gli USA. Si è parlato molto dei costi umani ed economici del conflitto, ma forse non tutti sanno che esso è stato anche il più feroce tentativo di distruggere l’ambiente naturale di un paese. Durante il periodo dello scontro tra Stati Uniti e viet cong, i primi hanno adottato come tattica militare la distruzione dell’ambiente su vasta scala e, nel tentativo di privare i secondi di basi operative, hanno gettato sul 16% del territorio del Vietnam del Sud ben 72 milioni di litri degli erbicidi noti come “agente arancione”, “bianco” e “blu”. Pare che il disboscamento provocato dall’irrorazione con questi agenti chimici sarebbe stato sufficiente a coprire il fabbisogno di legname da costruzione del Vietnam per 30 anni. Un altro metodo di defogliazione dagli effetti disastrosi sull’ambiente è stato l’impiego di enormi bulldozer, con i quali è stato spianato il suolo delle giungle. I 40 milioni di litri di agente arancione usati dagli Americani contenevano 170kg di diossina, la sostanza chimica più tossica che si conosca, presente ancor oggi in campioni di latte umano raccolti nelle zone colpite, dove vive attualmente il 7,5% della popolazione del sud.

Oltre all’irrorazione con gli agenti chimici, vaste zone della foresta, dei terreni agricoli, dei villaggi e persino alcuni cimiteri sono stati divelti dai bulldozer, che hanno rimosso anche lo strato superficiale del suolo oltre alle piante. Intere foreste di malaleuca, altamente infiammabili, sono state incendiate con il napalm e nelle zone montuose sono state deliberatamente provocate dalle frane, bombardando e gettando degli acidi sui pendii calcarei. Alla fine della guerra, vaste aree erano state ricoperte dalle erbe infestanti e, secondo le stime del governo vietnamita, 20000kmq di foreste e terreni coltivabili sono andati perduti come conseguenza immediata dell’azione bellica americana. Le ferite lasciate dal conflitto sono ancora visibili e gran parte dei danni provocati è irreversibile, ma sono stati attuati diversi programmi di rimboschimento e l’ambiente sta dando segni di ripresa. Nelle foreste a quote più elevate crescono rododendri, bambù nani e molte varietà di orchidee. La costa centrale è più arida e ha una vegetazione di pini a macchia, mentre i delta dei fiumi sono caratterizzati da foreste di mangrovie che consentono la riproduzione a pesci e crostacei, dunque sono preziose fonti di cibo per numerose specie di uccelli. Negli anni scorsi, infatti, sono iniziati a ricomparire volatili rari o poco noti che si pensavano estinti e sicuramente ve ne sono altri che attendono di essere avvistati, in particolare nelle vaste foreste al confine con il Laos. Il Vietnam, trovandosi lungo la rotta migratoria dell’Asia orientale, è un importante luogo di sosta per i trampolieri che lasciano le zone di riproduzione siberiane per andare a svernare in Australia. Non solo: gli zoologi hanno iniziato da poco a catalogare la flora e la fauna del paese, e sono certi che nelle regioni più remote esistano altri tesori biologici in attesa di essere scoperti. Un chiaro esempio è la scoperta del 1992, a opera di John MacKinnon, il quale ha scoperto un grande bovide in una località del Nord, di nome Vu Quang. Giusto per capirci, questo animale è stato solo il quarto mammifero terrestre – di grossa taglia – a essere scoperto nel XX secolo.

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