
Dighe, non è una partita da tifosi

di Emamuela Strini
Un salvagente per l’economia della pianura padana o un irreparabile sfregio all’ambiente delle nostre vallate?
Quando si parla di dighe sembra proprio che non si riescano a trovare compromessi e le posizioni in campo sono sempre distanti.
L’unica cosa certa è il “clima impazzito”: lunghi periodi di siccità si alternano a brevi e, il più delle volte, disastrosi nubifragi. Un “pingpong”, figlio del cambiamento climatico che ovviamente ha gravi ripercussioni sull’intero ecosistema e che, in particolare in Emilia Romagna, rischia di mettere in ginocchio il comparto agricolo che senza acqua ovviamente non può vivere.
Un problema sentito ancora di più nel Parmense, culla della food valley italiana e capitale del distretto del pomodoro.
E proprio in questa provincia si discute da quasi un secolo sulla eventualità di realizzare una diga lungo il corso dell’Enza a Vetto in provincia di Reggio Emilia.
Un’opera ciclopica che secondo i sostenitori del progetto (Unione industriali e associazioni degli agricoltori) risolverebbe il problema dell’approvvigionamento idrico per l’agricoltura parmigiana e reggiana.
Diverse le ipotesi in campo: si era partiti dall’idea di realizzare un gigantesco invaso di 100 milioni di metri cubi d’acqua per arrivare a un secondo progetto di 25 milioni di metri cubi sbarrando, in questo caso, il torrente Enza più a monte nei pressi della località Ventasso.
Una vicenda che ha tenuto sempre alta l’attenzione dell’opinione pubblica che si è divisa in due tifoserie, pro e contro la diga.
Una schiarita su questa vicenda dovrebbe arrivare però a fine marzo quando la Regione Emilia Romagna riceverà lo studio elaborato dall’Autorità di bacino del fiume Po che renderà nota l’effettiva necessità idrica della Val d’Enza e dei confinanti territori parmensi. La decisione finale sulla modalità con cui realizzare l’invaso spetterà quindi alla stessa Regione.
Insomma la strada sembra imboccata con il favore del mondo agricolo guidato da Coldiretti che vede nella diga sull’Enza l’unica soluzione ai problemi dell’agricoltura causati dai lunghi, e sempre più frequenti, periodi di siccità.
Parma, dicono gli agricoltori, non può essere da meno della vicina provincia di Piacenza nella quale ci sono ben due invasi, realizzati negli Anni ’30, la diga del Molato (8 milioni di metri cubi) e la diga di Mignano (11 milioni di metri cubi) le cui acque hanno salvato gran parte dei raccolti agricoli durante l’ultima grande siccità nel 2017.
Questa dunque la situazione: ma siamo proprio sicuri che non ci siano alternative alla costruzione delle dighe?
Mentre quasi nessun partito si è messo decisamente di traverso all’ipotesi diga, tenendo conto che il bacino elettorale degli agricoltori interessa tutti, dalle associazioni ambientaliste il coro dei “no” è invece unanime.
“Un progetto che avrebbe impatti devastanti sul sistema fluviale e cambierebbe per sempre il volto a una valle, nella quale si riverserebbero tonnellate di cemento”. Non ha dubbi il parmigiano Lorenzo Frattini, presidente regionale di Legambiente.
Un “no”, puntualizza Legambiente, supportato anche da pareri scientifici come quello del prof. Renzo Valloni, geologo, già docente ordinario di Valutazione d’impatto ambientale e Geologia all’Università di Parma e membro del comitato scientifico di Legambiente Emilia-Romagna.
“I terreni dell’Appennino emiliano – sostiene Valloni – sono altamente erodibili, per cui si ottiene un elevato trasporto solido di detriti nei corsi d’acqua e gli sbarramenti si interrano velocemente. Inoltre il materiale per svariati motivi non viene rimosso e le opere perdono in breve tempo la loro piena funzionalità. È quello che sta succedendo alla cassa d’espansione del torrente Parma».
Ma le ragioni del “no” non si fermano qui: per Legambiente i progetti per la diga di Vetto, ma anche per i nuovi grandi invasi, sono stati elaborati sulla carta per far fronte ai cambiamenti climatici, ma in realtà non ne tengono conto. “La diga per funzionare deve raccogliere acqua nei mesi precedenti al periodo siccitoso, ma proprio il clima impazzito – aggiunge Frattini – ci ha insegnato che non sempre questo avviene”.
La controproposta degli ambientalisti prevede invece piccoli invasi a limitato impatto ambientale e soprattutto un maggior utilizzo dell’acqua di falda: “Una soluzione più costosa – sottolinea Frattini – ma che porterà benefici a tutti quanti”.
Ma agli agricoltori cosa rispondete?
“Nessuno vuole mettere a rischio per esempio i prati stabili per il Parmigiano Reggiano che sono un patrimonio anche paesaggistico, però in questa partita dobbiamo mettere al tavolo le competenze e non trasformarci in tifosi da bar sport con delle convinzioni che non sono supportate da pareri scientifici”.
Penso che proprio in queste parole del nostro interlocutore ci sia la chiave per risolvere il problema dell’approvvigionamento idrico.
Ogni soluzione non dovrà guardare il beneficio immediato, ma il futuro di un territorio e, in larga prospettiva, dell’intero nostro pianeta. Insomma ogni tifoseria dovrebbe ammainare le proprie bandiere “di club” e mettere in gioco i migliori in una sorta di nazionale che guardi al bene comune.