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LA NUTRIA, IL FLAGELLO DELLE CAMPAGNE DELLA BASSA

LA NUTRIA, IL FLAGELLO DELLE CAMPAGNE DELLA BASSA

di Laura Storchi

Pantegana, ratto, ponga, portatrice di malattie. Ecco come gli abitanti della bassa emiliana e mantovana chiamano le nutrie, con il vago ricordo dei topi che portarono la peste in Europa nel ‘600 raccontato dal Manzoni. Questi problematici roditori, che non è raro vedere per le campagne, hanno popolato le terre paludose e umide attraversate dal Po –quindi in un vasto territorio al Nord Italia – ma si sono diffuse in tutto il territorio nazionale adattandosi perfettamente ovunque ci fossero acqua o fossi. Nella classifica degli animali più dannosi per l’ecosistema, la nutria causa così tanti problemi all’uomo e alla terra, che –se chiedete – un contadino preferirebbe sicuramente approcciarsi con un leone a mani nude che non ritrovarsi una ‘pantegana’ nell’aia.


Tutto questo – va detto – è stato fatto loro malgrado. Originarie dell’America Latina, sono state portate qui dall’uomo ai primi del ‘900 quando la loro pelliccia, che oggi tanto ci suscita orrore, era usata per fare colletti, copricapi e cappotti di gran moda e a un prezzo relativamente basso. Negli anni ’80 però, globalmente, l’interesse per le pellicce animali è andato a scemare, complici i movimenti animalisti che incitavano una maggiore sensibilità per gli animali. Non potendo – e volendo – sostenere i costi dell’abbattimento di questi animali, gli allevatori semplicemente aprirono le gabbie e, dal Piemonte dove erano collocati, gli esemplari si diffusero in gran parte del territorio italiano. Ma soprattutto in Pianura padana dove, il corso del Po, il suo delta e i canali per irrigare i campi creavano il suo territorio ideale. Poi aggiungiamo che la nutria si adatta facilmente ai nuovi territori, si riproduce velocemente e non ha, qui, predatori naturali ed ecco che ci si palesano davanti, come risultato, le immagini di roditori grandi come gatti che attraversano la strada di notte, fanno buchi nel terreno e negli argini e rovinano coltivazioni.
La problematica era stata portata anche in Parlamento, nel 2014, dalla Lega perché si prendessero dei provvedimenti. Il fatto che l’animale fosse alloctono – ovvero non appartenente a quell’ ecosistema- e fosse considerato pericoloso e nocivo, aveva dato inizialmente l’impressione che potesse essere cacciato e sterminato. Alcuni comuni –addirittura- davano ricompense pecuniarie a chiunque ne uccidesse. In realtà, nel 2016, la legislazione ha impedito che ciò avvenisse etichettando questi atti come insensibili e disumani, sostenuti dal movimento animalista e dall’ISPRA, l’istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. Molte soluzioni sono state d’allora proposte, come la castrazione o l’eradicazione, ma la realtà dei fatti è che questi animali ancora popolano le campagne indisturbate causando danni ingenti.

Danni dellle nutrie in Emilia Romagna

Tra gli effetti più pericolosi, c’è quello dei buchi negli argini, che diventano instabili rischiando il crollo. Giovanni vive nella campagna mantovana e casa sua è sotto l’argine maestro del Po che passa in quella zona. “Non solo fanno buche nei fossi e nel terreno. Quando è periodo di secca ogni tanto vado a controllare l’argine a pochi metri da casa mia ed è impressionante. Fanno delle gallerie lunghe che non se ne vede la fine e dove potrebbe passarci un uomo adulto” afferma. E nonostante il muso dell’animale possa ricordare quello del suo più simpatico parente il castoro, le nutrie non sono animali pacifici, soprattutto quando hanno una cucciolata da difendere. “ Una sera sono uscito e ne ho trovata una sulla macchina in cortile. Era enorme, molto più grossa di un gatto. Ho preso una scopa cercando di colpirla o spaventarla perché andasse via. Non solo non si è mossa, ma si è arrabbiata, ha mostrato i denti, fatto il suo verso stridulo e cercato di attaccare: ho avuto paura”, conferma Giovanni.
Davide è un giovane con la passione per la pesca che si è laureato in biologia marina e ora aiuta a gestire una cava nel territorio tra Mantova, Rovigo e Ferrara. Quel che lui ha riscontrato è che la nutria non è solo erbivora ma, anzi, ormai è diventata una seccatura vederle nuotare tranquille negli specchi d’acqua del territorio. “Da quello che ho potuto vedere, mangiano sì le alghe e alcune piante acquatiche presenti nelle nostre acque, ma si cibano anche di gamberoni e piccoli pesci che sono anche l’elemento principale della dieta dei nostri pesci gatti, lucci e siluri”, dichiara Davide. Una specie che, quindi, ruba il cibo, le tane e l’ecosistema agli altri animali.


Maurizio, invece, è un contadino del mantovano che ha piantagioni di riso, un cibo che predilige la nutria, e che annualmente viene rovinato per il 5% del suo totale da queste. Lui ci racconta: “Non so più come tenerle lontano perché ogni anno sono sempre di più: le mattine d’estate arrivo e ritrovo buchi nel terreno e piante rovinate o estirpate che loro hanno mangiato. Ormai hanno invaso le campagne: nel tragitto di 5 chilometri che mi porta da casa mia a dove lavoro si trovano sempre una decina di cadaveri di questi animali che vanno sotto le macchine, creando gravi danni anche a queste, date le loro dimensioni”, racconta.
Quello che dà più fastidio non sembra essere, però, l’animale in sé che, ovviamente fa danni, ma che lo fa perché è nella sua natura; quanto la confusione su ciò che si deve o non deve fare, ciò che è concesso e cosa non lo è. “La legislazione dice una cosa, poi però ogni territorio reagisce alla sua maniera con le proprie regole e raccomandazioni. Io ho provato a seguire la legge, usando trappole e gabbie ma si è rivelato inefficace. Non voglio sterminare un animale, ma l’Italia vive con la nostra agricoltura e la nutria la rovina. Gli animalisti sono bravi a dire di trattare gli animali come esseri umani, ma poi non forniscono soluzioni concrete ai nostri problemi”, conclude Maurizio.

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