
Ridurre la plastica al tempo del Covid-19: uno scenario globale possibile

di Maddalena Bianchetti
La pandemia provocata dal Coronavirus è dilagata in tutto il mondo così come il consumo di materiali plastici: mascherine, guanti usa e getta, DPI e confezioni alimentari monouso sono diventati i simboli indiscussi di una crisi senza precedenti.
Il Coronavirus ha infatti scatenato una corsa all’acquisto di dispositivi di protezione individuale in tutto il pianeta. I governi mondiali si sono affrettati ad accumulare mascherine, guanti e visiere, introducendo l’obbligo, per i cittadini, di indossare i DPI soprattutto nelle zone più colpite. Tale situazione va ad aggravare l’inquinamento da plastica, che già in un rapporto del 2016, mostrava come nel 2050 potrebbe esserci più plastica che pesci nell’oceano.

Il circolo vizioso della crisi
È un meccanismo tangibile: mentre produciamo e scartiamo plastica per limitare la diffusione del virus e tutelare la salute pubblica, stiamo contribuendo ad aggravare la crisi ambientale.
Da una parte la pandemia ha aperto una riflessione a tutti i livelli – dalla politica all’industria, per arrivare ai singoli individui – sulla necessità di rivedere alcuni modelli della nostra società che si sono rivelati non sostenibili. Dall’altro però, in questo momento di grande difficoltà e incertezza economica, i governi sono meno propensi ad investire sul fronte della sostenibilità ambientale e molte persone sono impossibilitate, data la crisi economica derivata dalla pandemia, a spendere di più per acquistare prodotti etici o ecologici. Siamo in un momento in cui la salute e la sicurezza sono le priorità, ma dobbiamo anche tenere conto che la questione dello smaltimento rifiuti è ampia e deve essere affrontata con maggiore accuratezza per raccogliere la sfida ambientale.
Smaltimento dei rifiuti
L’emergenza sanitaria è al centro della scena globale e per questo motivo la battaglia per ridurre i rifiuti di plastica viene messa da parte sia dai consumatori che dai governi.
“I DPI sono la punta di una montagna di rifiuti di plastica che ignoriamo da anni”
Sian Sutherland, co-fondatore di A Plastic Planet.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha previsto che per soddisfare la crescente domanda globale, le forniture di DPI sono aumentate del 40%: più nel dettaglio sono state prodotte 89 milioni di maschere, 76 milioni di paia di guanti e 1,6 milioni di occhiali. La società di consulenza Frost & Sullivan ha previsto poi, che gli Stati Uniti hanno generato un intero anno di rifiuti sanitari in soli due mesi.

Solo adesso i governi mondiali stanno iniziando a riflettere su dove finiranno i milioni di dispositivi di protezione. Il dipartimento di assistenza sanitaria e sociale del Regno Unito ha dichiarato di non essere in grado di dire come verranno smaltiti i due miliardi
di dispositivi di protezione acquistati, ma che sta cercando alternative efficaci al modello monouso.
Una nuova linfa in Italia

A inizio aprile una lettera di Confindustria al premier Conte e al ministro dell’Economia, aveva sottolineato l’importanza delle protezioni degli alimenti evidenziata dallo stesso Presidente del Consiglio, e avevamo messo in discussione la plastic tax che era prevista per luglio 2020.
“La pandemia ci insegna che non bisogna aggravare il
degrado ambientale del nostro Pianeta, come
contribuisce a fare l’inquinamento da plastica”
Giuseppe Ungherese, Greenpeace Italia
Giuseppe Ungherese – responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace – aveva dichiarato inaccettabile “sfruttare opportunisticamente la situazione emergenziale per tutelare gli interessi industriali dei produttori di plastica usa e getta, considerando che i dispositivi medici sono esclusi dalla plastic tax”. Il ministro dell’Ambiente Sergio Costa si era invece limitato a dichiarare che il governo “sta studiando una serie di possibilità di sviluppo e di riflessioni, di ripresa economica: l’importante è far ripartire il Paese”. Per il ministro, il post-coronavirus sarà soprattutto “un’occasione di rilancio green del Paese. Questo è il momento più opportuno per incrociare il rapporto tra ambiente e salute per dare nuova linfa”. Dunque, ha aggiunto Costa, non ci sarà “alcuna deroga ai limiti sull’inquinamento”.
In parallelo, sono numerose le restrizioni sulla plastica monouso che sono state sospese o ritirate in tutto il mondo: nel Regno Unito è stata sospesa una legge, che era stata molto discussa, sull’utilizzo dei sacchetti di plastica; anche nel Maine (USA) il divieto di utilizzare buste di plastica usa e getta è stato sospeso; un colosso come Starbucks aveva addirittura vietato l’uso di prodotti riutilizzabili per rallentare la diffusione di Covid-19. Trovare una soluzione al boom della plastica durante e dopo la pandemia richiede uno sforzo congiunto tra produttori e responsabili politici per ripensare e regolare l’intero ciclo di vita dei prodotti.
The plastic wave
Il 23 luglio 2020, The Pew Charitable Trusts, organizzazione non governativa indipendente no profit, e la B Corporation SYSTEMIQ, società che utilizza il potere del business per risolvere problemi sociali e ambientali, hanno rilasciato Breaking the Plastic Wave, uno degli studi più analitici e solidi fatto finora sulla plastica negli oceani.
Il rapporto dimostra che se non agiamo subito, entro il 2040 il volume di plastica sul mercato sarà raddoppiato e il volume annuale di plastica che entra nell’oceano sarà quasi triplicato, passando da 11 milioni di tonnellate nel 2016 alle 29 milioni di tonnellate nel 2040, mentre le scorte di plastica oceanica saranno quadruplicate, raggiungendo oltre 600 milioni di tonnellate.

Breaking the Plastic Wave sottolinea come molti degli sforzi fatti finora per combattere l’inquinamento da plastica, si sono concentrati sul miglioramento della gestione dello smaltimento delle materie plastiche o su divieti sulla produzione e consumo, ma nessuna di queste azioni può funzionare isolata dalle altre, abbiamo bisogno di un approccio globale all’economia circolare.
L’Economia Circolare offre un modello economico e industriale virtuoso. Il principio alla base di questo modello è quello di ripensare e riprogettare i processi produttivi slegandoli dal consumo di risorse esauribili attraverso: la progettazione a zero rifiuti e
inquinamento, mantenendo in uso prodotti e materiali e rigenerando i sistemi naturali.
Nello studio completo viene sottolineato come, oltre a presentare la risposta più efficace all’inquinamento da plastica, l’economia circolare offre vantaggi economici, sociali e climatici.
Rispetto al normale business, un approccio globale all’economia circolare ha il potenziale per ridurre il volume annuale di materie plastiche che entrano nei nostri oceani di oltre l’80%, generare risparmi di 200 miliardi di dollari all’anno, ridurre le emissioni di gas serra del 25% e creare 700.000 posti di lavoro aggiuntivi netti entro il 2040.

Il rapporto sottolinea anche l’importanza di eliminare materie plastiche di cui non abbiamo bisogno: oltre alla rimozione di cannucce e sacchetti usa e getta, è necessario adottare rapidamente modelli innovativi di consegna che forniscano prodotti ai clienti senza imballaggi, riutilizzando i packaging o rendendo le confezioni compostabili. Per questo è importantissimo innovare, con una velocità mai vista prima, verso modelli di business, design del prodotto, materiali e tecnologie per accelerare la transizione ad un’economia circolare.
Per fare tutto questo c’è bisogno di investimenti economici non solo da parte dei governi, ma anche dell’industria: questi due campi devono imparare a collaborare ed investire in un’ottica di salvaguardia globale.
Di crisi in crisi
Per riuscire ad affrontare l’inquinamento da plastica è molto importante mantenere alta l’attenzione e non allontanarsi da una crisi per risolverne un’altra.
Per riuscire a rispondere agli impatti devastanti della pandemia di Covid-19, senza distogliere la nostra attenzione da altre sfide globali come l’inquinamento da plastica, dobbiamo accelerare la transizione verso un’economia circolare. La rottura dell’onda di plastica mostra che un ritardo nell’implementazione di cinque anni, comporterebbe l’ingresso di ulteriori 80 milioni di tonnellate di plastica nei nostri oceani tra oggi e il 2040.

Un ritardo oggi potrebbe portare a un disastro domani, ma attraverso l’economia circolare si ha l’opportunità di affrontare l’inquinamento da plastica alla fonte, aprendo allo stesso tempo opportunità economiche e sociali.
Per approfondire:
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The circular economy solution to plastic pollution
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