
“Il grande ammalato si sta riprendendo”: intervista a Meuccio Berselli e Ludovica Ramella dell’Autorità di Bacino del fiume Po

di Emanuela Strini e Anna Turco
Abbiamo incontrato il Segretario Generale, Meuccio Berselli, e Ludovica Ramella dell’Autorità di Bacino Distrettuale del Fiume Po. Il tema , ovviamente, è stato il Grande Fiume : lo stato di salute, i progetti in cantiere, la sua storia e il suo futuro. Abbiamo fatto anche domande personali e cercato di andare a fondo di alcune questioni, economiche e ambientali, che sono al centro del dibattito nazionale. A partire dal cambiamento climatico che ha problematiche e implicazioni epocali.


Dottor Berselli, in passato ha avuto diversi incarichi pubblici. Ma questo attuale è di grande responsabilità. Parliamo infatti di un fiume che attraversa un territorio che ha milioni di abitanti e che coinvolge attività economiche che pesano in modo rilevante sulla formazione del PIL italiano. Quali le ragioni ditale scelta ?
Meuccio Berselli: Non è una domanda da poco. Dunque, intanto perché è una sfida molto importante da un punto di vista intellettuale poter essere molto incisivi nella pianificazione dell’intero bacino distrettuale del fiume Po. In passato ho avuto ruoli amministrativi e di responsabilità, però per aree molto confinate, quindi ho accettato pur con grande senso di responsabilità e grande preoccupazione, con l’idea, con la presunzione, di far qualcosa di positivo. Anche perché la pianificazione, gli strumenti e le azioni che si mettono in campo nell’ambito della programmazione non si vedono il giorno dopo, ma si vedono dopo un tempo che magari è alla fine dell’incarico.
Dottoressa Ramella, da dove nasce la sua passione per l’ecologia, sostenibilità ambientale e per il fiume Po?
Ludovica Ramella: Nasce dalla mia famiglia. Io sono cresciuta in un’azienda agricola delle campagne cremonesi. Sono figlia di un veterinario e di una biologa. Sono venuta a Parma per studiare all’Università, dove nell’ambito della biologia e dell’ecologia ci sono ricercatori e studiosi importanti che portano avanti una serie di attività di ricerca che sono riconosciute in tutta Italia e soprattutto sanno trasmettere una passione incredibile. Quindi lì ho iniziato a far crescere i miei interessi, a partecipare – perché sono sempre stata molto curiosa- a tutti i convegni, a tutte le attività che c’erano in giro, a informarmi e poi ho trovato il progetto che è diventato la mia tesi. Da lì ho continuato su quel percorso.
Com’è la situazione generale ad oggi del Grande Fiume? Ci sono sufficienti risorse idriche per mantenere il distretto?
Meuccio Berselli: Il fiume sta, dal punto di vista biologico e dal punto di vista qualitativo, molto meglio rispetto al passato, questo grazie agli investimenti ministeriali e regionali quasi ciclopici che in questi anni sono stati fatti sul sistema idrico, hanno costituito un bacino con 6700 depuratori che riversano nel fiume l’acqua depurata. Chi ha visto il fiume 25 anni fa, ha trovato un fiume pieno di plastica di buste quando c’era la piena. Oggi di questa brutta fotografia non è rimasto più nulla. Noi preleviamo circa 20 miliardi di metri cubi d’acqua dal fiume Po. La maggior parte di questi miliardi di metri cubi vengono prelevati nella stagione peggiore, cioè durante il periodo estivo, quando il fiume ha meno disponibilità di acqua perché non piove mai e le temperature sono addirittura molto più alte rispetto agli anni passati. Quindi, una evaporazione e una traspirazione maggiore, e un fabbisogno di acqua maggiore di quelle passate, crea uno scompenso, un problema a l’intero livello Distrettuale. Bisogna correre ai ripari cercando di armonizzare gli eventuali conflitti nei territori su cui potrebbe mancare l’acqua. Il cambiamento climatico e le conoscenze che le sue ripercussioni possono avere sul territorio non sono solo un problema di deflusso ecologico di habitat e di biodiversità, ma anche di garantire il bene a tutti gli usi, quindi all’agricoltura, all’idroelettrico e al sistema civile industriale. Questa è una sfida forse epocale perché, se non cominciamo a introdurre da subito dei correttivi, possiamo incappare, nei prossimi 20 o addirittura 5 anni, in anni siccitosi e ancora più siccitosi del passato.
Bisogna continuare in quella direzione in cui da una parte c’è un cambiamento climatico dall’altra parte l’antropizzazione così spinta che ci inducano a mettere in campo delle misure che devono diventare sempre più performanti per consentire la nostra civiltà di andare avanti.
Ludovica Ramella: Il grande fiume ha visto da un certo punto di vista grandi passi in avanti nel corso degli anni. Quello che sicuramente invece compromette l’utilizzo delle risorse idriche è in primo luogo il problema legato ai cambiamenti climatici. Poi c’è tutta una questione legata alla governance, all’utilizzo delle risorse dal punto di vista gestionale, nel senso che un’esigenza che sta nascendo adesso sempre di più e sempre più forte a livello di pianificazione è la gestione integrata delle risorse, perché in passato non è sempre stato così. La frammentazione, sia per la pianificazione sia per gli strumenti strategici per progetti che sono attivi sul territorio, è uno dei problemi che si sta cercando di superare. Non solo noi, ma anche a livello regionale, comunale e provinciale.
Durante la riunione di Colorno del 25 giugno 2020 per il percorso del WorkinMabPoGrande, quali sono i punti più importanti che sono emersi?
Ludovica Ramella: In quell’incontro si sono trovati e riuniti i territori della parte di Parma, della provincia di Reggio Emilia e alcuni anche mantovani che sono all’interno dell’area MABUNESCO POGRANDE.
Nonostante la riserva di biosfera Po Grande sia un’area piuttosto vasta, perché ci sono all’interno 85 comuni, ci sono sensibilità diffuse e comuni a tutti i territori. Poi abbiamo anche riscontrato delle differenze legate a sensibilità a livello locale. In quell’incontro erano emerse in particolare due necessità: una è quella della tutela ambientale, la necessità di valorizzare quelle che sono le aree golenali. Sono emerse anche esigenze legate alla fruizione del fiume dal punto di vista turistico, perché la volontà di puntare sulla mobilità lenta è una volontà che sta prendendo sempre più piede. Con la mobilità lenta mi riferisco alle piste ciclabili, quelle già esistenti e quelle che si possono creare. Questo delle piste ciclabili è un esempio di connessione infrastrutturale e di volontà di mettere in rete il territorio, ma si stanno rendendo sempre più conto che se questi percorsi ciclabili non vengono messi in connessioni con le ciclovie principali perdono molto, perché perdono la possibilità di portare nei loro territori turisti che utilizzano quelle infrastrutture principali.
Si parla anche di navigazione perché sono già attive in quelle aree attività che vanno supportate. Sono iniziative che fanno anche fatica a sopravvivere perché hanno bisogno di un’affluenza continua e di fondi per restare attive, poiché costano.
Si può parlare di Food Valley e Bio in una valle inquinata?
Meuccio Berselli: Noi abbiamo una pressione molto forte sulla risorsa naturale che è determinata da un sistema di agricoltura che ha un forte impatto sul territorio. Questo tipo di agricoltura ha bisogno di molta acqua e questa acqua può non essere garantita per il futuro. Abbiamo poi un’agricoltura che deve andare nella direzione dell’arboricoltura perché dobbiamo cominciare a immagazzinare CO2, dobbiamo cambiare l’aria di questo territorio in quanto è una delle zone più inquinate d’Europa.
Noi non possiamo pensare, proprio perché ci sarà scarsità di acqua, di essere competitivi nel mondo. Per esserlo dobbiamo avere la certezza di raggiungere l’obiettivo, di far maturare i nostri prodotti, distribuire acqua nel momento in cui la piantina ha bisogno, nell’esatto momento in cui c’è la richiesta di acqua e non dare acqua perché si è sempre fatto così in passato perché quel sistema è un sistema che non si regge. Quindi da una parte sì, diciamo che l’apertura al mondo bio è un’apertura assolutamente necessaria, perché è il cambiamento che ci fa capire che dovremmo andare in quella direzione, ma anche il sistema stesso dell’agricoltura, che oggi è sovvenzionato. Noi chiediamo che le regioni possano dare sovvenzioni a un’agricoltura meno idro-esigente o comunque più intelligente dal punto di vista della tutela del nostro ambiente e della tutela dell’aria e dell’acqua. Questo sforzo che stiamo facendo è uno sforzo che facciamo tentando di portare il nostro contributo. Da una parte dobbiamo cercare di far migliorare la qualità dell’acqua e dall’altra dobbiamo trovare delle tipologie di impatto minori a quelle che abbiamo già.
Il 22 ottobre si è svolto il webinar PoGrande – a thrust towards a green future post Covid-19” nell’ambito della EU Green Week 2020: quanto è stato importante?
Ludovica Ramella: È stato molto importante per due motivi: il primo è che bisogna integrare tutto quello che stiamo facendo a livello di biosfera Unesco con quelli che sono gli obiettivi di una rete mondiale. Ho avuto anche l’occasione di partecipare a dei webinar, perché comunque si sta cercando di fare rete non solo all’interno delle riserve di biosfera, ma anche tra le riserve di biosfera di tutto il mondo cercando di scambiarsi informazioni e supportarsi. È vero che ognuno ha i suoi problemi, ma spesso gli obiettivi comuni sono comuni a livello mondiale.
Sicuramente poter approdare a un contesto come quello europeo ci aiuta a conoscere quelle che sono le strategie europee, a capire come intercettare quelle che sono le vie, perché da un lato è vero che si parla di sviluppo sostenibile, si parla di transizione ecologica, di green economy, ma sono tutte parole a cui è difficile dare una reale definizione. Soprattutto come si concretizzano nel pratico a livello locale?
Questo è uno dei motivi per cui ci sembrava utile entrare in un contesto come quello dell’EU Green Week, all’interno del quale si cercava di dare una spiegazione proprio al significato di queste parole.
È stato molto importante perché uno degli obiettivi della riserva di biosfera Unesco è attivare un tavolo di confronto istituzionale con quelli che sono i gestori dei siti delle aree protette che abbiamo all’interno della riserva.
Il cambiamento climatico è un pericolo costante, ormai argomento di discussione quotidiano. Esso influisce attivamente sul territorio? Se sì, ci sono modi per contrastarlo?
Meuccio Berselli: Abbiamo un sistema che è abbastanza fortunato perché abbiamo una geologia nel territorio caratterizzata da circa 58% da un territorio montano e collinare. Esso ha delle caratteristiche molto importanti, ad esempio il sistema dei ghiacciai o della copertura nivale, che rappresentano una scorta importante di acqua sino al periodo quasi estivo, e poi ha anche i grandi laghi regolati che ci consentono di mitigare in parte il problema grazie a questa geografia fisica, questa geomorfologia.
Il cambiamento climatico ci fa capire che tutto il sistema si deve muovere in modo armonico sapendo quali sono i problemi e nasce da una risposta che è una specie di sussidiarietà territoriale, cioè chi ha di più deve mettere a disposizione la propria acqua per portarla e darla a chi ne ha meno.
Ecco perché chiediamo a fine primavera di portare nei giacimenti più acqua possibile, chiediamo agli idroelettrici durante il periodo estivo di non fare energie idroelettriche, ma di concedere l’acqua a valle per poter avere gli altri usi. Però non basta: ecco che bisogna fare parallelamente anche delle altre cose come riutilizzare l’acqua dei depuratori, avere un sistema di irrigazione molto più attento e tecnologicamente innovativo, non disperdere neanche una goccia d’acqua e soprattutto irrigare nel momento del bisogno. Cambiamento climatico significa anche pace sociale, significa provvedere quotidianamente alle irrigazioni. Per cui l’economia sta in piedi, ma anche la conoscenza di dati ci consente di accelerare e di garantire queste cose.
A seguito della pandemia sono emersi dubbi e interrogativi e problemi da risolvere. Come si vorranno risolvere? Come si intenderà stimolare la ripresa?
Ludovica Ramella: Quello che noi stiamo facendo è un adattamento al cambiamento climatico, perché è chiaro che è già in corso. Si può lavorare sul fatto di non sforare ancora di più in futuro.
Per quanto riguarda quello che ci ha insegnato la pandemia è quanto manchino i rapporti umani e ci ha fatto capire sia a livello sociale ma anche a livello lavorativo quanto la perdita di rapporto umano, del contatto con le persone renda tutto un po’ più difficile. Inoltre tutte le esigenze che erano emerse a livello territoriale prima della pandemia, la pandemia le ha in alcuni casi aggravate o comunque le ha rese più importanti, in altri casi ha ribaltato le priorità
Una delle priorità che è emersa maggiormente è il rapporto con la natura. È evidente che l’ambiente che ci circonda è fondamentale e incide sulla salute umana. A livello locale migliorare la qualità della vita e migliorare il rapporto che le persone hanno con l’ambiente in cui vivono può aiutare a gestire meglio gli effetti di queste catastrofi, perché se uno sta bene dove vive ha meno l’esigenza di spostarsi; e poi se ha una qualità di vita confortevole, più essere migliore anche il suo stato di salute. Se c’è meno inquinamento, siamo meno soggetti a prenderci delle bronchiti. Se abbiamo l’ambiente sano dal punto di vista ecologico, gli ecosistemi funzionano e sono in grado di autoregolarsi.
Questa pandemia cosa ci ha insegnato? Che possiamo avere un sistema che funziona comunque innanzitutto rallentando. Abbiamo un modo di vivere tropo frenetico.
Dopo la prima ondata si è subito ritornati per inerzia al sistema precedente. Non sembra che ancora ci sia una volontà di cambiare il modo di vivere. Nelle nostre attività si è visto come da un lato si voglia intervenire in questo senso, dall’altro la fatica di cambiare una cultura che è così incentrata sulla frenesia molto difficile da contrastare.
“Il Po è stato ucciso”. È vero?
Meucci Berselli: Hanno tentato di ucciderlo, però, non ci sono riusciti. In passato è stato utilizzato come una grande discarica e dal fiume si è solo preso: hanno preso socialmente, abbiamo preso gli inerti, abbiamo preso da sabbia, abbiamo preso la ghiaia, abbiamo lasciato delle aree in cui facevamo le discariche. Oggi pur molto ammalato, pur con delle ferite un po’ ovunque, il fiume è riuscito a riprendersi anche da solo perché la biodiversità è caratterizzata per molti versi anche dalla capacità della natura di riprendersi degli habitat che prima gli avevamo saccheggiato e rovinato. Ci sono dei dati che ci dicono che la strada intrapresa è quella corretta, ci sono dei pesci che sono dei bio-indicatori che fino a qualche anno fa non vivevano nell’acqua del fiume e significa che l’acqua era troppo inquinata. Però devo dire che la nostra educazione è cambiata e anche la nostra sensibilità.
Abbiamo fatto l’esperienza sulla micro-plastica nel fiume Po e la sperimentazione, fatta a livello scientifico, conferma che le parti su metro quadro della microplastica presente nel Po sono di gran lunga inferiori a quella della Senna e del Tamigi. Quindi significa che il nostro sistema sta funzionando e la nostra biodiversità si sta ricreando. Il Po deve essere tutelato dall’inizio alla fine, lì deve essere il posto dove noi abbiamo la più grande infrastruttura che esiste che è l’acqua, e su questa infrastruttura sviluppare un futuro con qualità di vita migliore del nostro sistema.
Il Po è in coma e l’unico modo per farlo uscire è quello di investirci ancora, investire sulla sensibilità e sull’educazione dei giovani. Non bisogna cantare vittoria: bisogna essere ancora più preoccupati e ancora più seri, ma quello probabilmente è l’incipit che ci spinge a migliorare il fiume.
Durante la pandemia si è parlato di “acque chiare”, della limpidità delle acque. “Con la pandemia, ecco che l’ambiente si sta riprendendo”. Ma non è così, giusto?
Meuccio Berselli: No, non è così e ho provato a spiegarlo dal punto di vista tecnico. Abbiamo fatto le analisi ed esso era un fenomeno determinato dalla mancanza dei tormenti di torbidità dell’acqua e, il fatto che non ci fosse un movimento sul fiume, ha fatto sì che si pensasse in modo non corretto. L’acqua si pulisce intervenendo con la depurazione, si pulisce facendo dei canali come i canali di bonifica facendole diventare fito-depuratori.
Ci sono paesi che si stanno mettendo d’accordo sull’azzeramento delle emissioni – come Giappone e Cina, e tutti lo descrivono come qualcosa che possa salvare il mondo. Cosa ne pensate?
Meuccio Berselli: Allora, nella nostra idea c’è anche quella di svolgere un ruolo molto importante tra cui anche quello di migliorare la qualità di quei bacini. Se io riesco a riqualificare così bene un territorio, una cosa che era negativa la faccio diventare molto positiva. Allora il ruolo che abbiamo è anche quello di pensare a una qualità di vita alta in un territorio che amiamo, che è per me il fiume Po, in cui anche la riqualificazione diventa sostanza.
Ludovica Ramella: Sistemi troppo complessi. Periodicamente si individua un nemico: prima c’era il buco nell’ozono, adesso c’è il CO2. Non so dire se questa strategia è legata un po’ a una ingenuità, in base alla quale si pensa davvero che sia quello il sistema per sconfiggere i nostri problemi o se in realtà è un modo per cui si sa che si trova un nemico comune è più facile che tutti si mettano in campo e agiscano sullo stesso fronte. Io non credo che questo ci salverà. Sicuramente partire da qualche parte è utile.
Anche le energie rinnovabili sono una cosa bella, ma bisogna poi pensare ai sistemi con cui si utilizza, all’impatto che queste possono avere in un futuro. Quando si affrontano questi problemi non ci si può limitare solo a ottenere nell’immediato una risposta positiva e non è sempre e solo un problema economico, perché le nuove soluzioni all’inizio sono spesso costose.
Alla luce di quando affermato dai dottori Meuccio Berselli e Ludovica Ramella, il Fiume Po sta bene, è in coma ma si riprenderà. Il cambiamento climatico è una bestia che bisogna combattere e si può fare solamente grazie all’unione di più forze, dalla Regione al piccolo Comune. L’Autorità ed il suo team puntano anche a una promozione, Educazione della sostenibilità e del rispetto per la natura ai giovani, che sembrano poco interessati alle questioni green.
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