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La tragedia di Ustica. un dramma contemporaneo della luminosa storia.

La tragedia di Ustica. un dramma contemporaneo della luminosa storia.

L’isola raccontata attraverso il progetto fotografico di Jacob Balzani Lööv

di Simona Losito

“La prima cosa che direbbe un usticese riguardo alla vicenda è che l’isola non c’entra nulla”, dice il fotografo Jacob Balzani Lööv, che tra il 2016 e il 2019 ha realizzato il progetto /ustica/isola, strage. “L’isola è stata da subito associata all’incidente perché era il luogo abitato più vicino al punto in cui è affondato l’aereo. Ancora oggi, dopo numerosi processi, spesso la prima immagine che viene in mente pensando a Ustica sono i resti di lamiera bianca e rossa del Dc-9”.

Jacob Balzani Lööv è un fotografo italo-svedese amante di storie di persone fortemente legate a un luogo, ad una terra. I protagonisti del suo progetto sono Ustica e la strage di cui è stata vittima. Nel Novecento, infatti l’isola fu colpita da quella che è nota come la Strage di Ustica, avvenuta il 27 giugno 1980: a 115 chilometri dall’isola, un aereo di linea Itavia direzione Bologna – Palermo, si schiantò in acqua senza lasciare sopravvissuti. Morirono 69 aduli e 12 bambini. Da quel giorno Ustica cessò di essere isola e divenne un massacro. Dopo anni di indagini e processi, ancora non si ha chiarezza sull’accaduto. La tesi più accreditata è che l’aereo sia stato abbattuto per errore durante una battaglia tra aerei della NATO, americani o francesi, e aerei libici. Francesco Cossiga, all’epoca Presidente del Consiglio dei Ministri, nel 2007 attribuì la responsabilità a un missile francese destinato al velivolo libico su cui, a sua detta, si sarebbe trovato Gheddafi.[1] Dalle indagini effettuate negli anni sono nate varie ipotesi su un cedimento strutturale dell’aereo, dovuto alla cattiva manutenzione della compagnia Itavia. Ad ogni modo, oggi, purtroppo, la strage di Ustica rimane senza colpevoli, con tanti quesiti irrisolti e un mistero che lascia l’amaro in bocca, soprattutto se si pensa che molte prove sono andate distrutte intenzionalmente.

Attraverso le fotografie realizzate per questo progetto, attraverso gli occhi di questo artista e grazie alla sua percezione mediata dall’obiettivo della macchina fotografica, possiamo tuffarci nelle meraviglie dell’isola e dare dignità ad una terra a cui la sorte ha riservato un destino catastrofico. La bellezza e il fascino, però, possono aiutare a ricordarla e scoprirla con gli occhi di chi sa trovare il buono anche nelle difficoltà. L’idea del suo progetto di combinare le immagini della vita che si conduce sull’isola accanto a paesaggi legati alla tragedia, vuole dare uno spunto per pensare al legame tra due significati antitetici, isola e strage, alla nascita improvvisa di questa connessione e alle sue conseguenze.  


[1]https://web.archive.org/web/20110719031129/http://archiviostorico.corriere.it/2008/giugno/22/Strage_Ustica_nuove_indagini_Sentito_co_9_080622064.shtml

Punto Condor. Alle ore 20:59 del 27 Giugno 1980 il DC9 I-TIGI mandò il suo ultimo segnale ai navigatori di volo di Roma-Ciampino. Chiamato da Palermo per la procedura di atterraggio l’aereo non rispose. Il volo, decollato da Bologna, scomparve con a bordo 81 persone.
© Jacob Balzani Lööv
Timpa delle Magare. Il 18 luglio del 1980 in Calabria, a Castelsilano si sentì un forte boato sulle colline sottostanti. Lungo i fianchi infuocati di una forra gli abitanti trovarono i resti di un caccia, un mig 23 portante bandiera libica e il corpo del suo pilota.
© Jacob Balzani Lööv
Bologna, Museo per la Memoria di Ustica. La mancanza del velivolo e delle scatole nere non permise di avanzare di molto nelle indagini sulla strage di Ustica. Il relitto si trovava in uno dei punti più remoti del Tirreno, a più di tremila metri di profondità.
© Jacob Balzani Lööv
Bologna, Museo per la Memoria di Ustica. La mancanza del velivolo e delle scatole nere non permise di avanzare di molto nelle indagini sulla strage di Ustica. Il relitto si trovava in uno dei punti più remoti del Tirreno, a più di tremila metri di profondità.
© Jacob Balzani Lööv

Nelle fotografie realizzate per il progetto troviamo anche ritagli di articoli di giornale dell’epoca, foto d’archivio che Lööv ha accostato insieme ad immagini in bianco e nero che ha scattato in altri luoghi legati all’indagine sulla vicenda.

© Jacob Balzani Lööv

Insieme al suo passato, ha raccontato anche il presente di Ustica attraverso foto a colori che mostrano i luoghi e gli abitanti. Attraverso l’utilizzo della dicotomia bianco/nero e colori nelle fotografie è riuscito ad esprimere visivamente in modo estremamente esplicativo la distinzione tra presente e passato, tra tragedia e rinascita. Dopo quarant’anni dal massacro, la fotografia ci permette di attraversare la storia dell’isola e di onorare le 81 vittime, ma al contempo di riportare Ustica al suo significato originale.

Allora io la mia lancia prendendo, ed il coltello affilato, rapidamente, lasciata nave, salivo in vedetta, se opere mai di mortale vedessi o sentissi la voce. E su una cima rocciosa m’inerpicavo ad esplorare e mi apparve del fumo su dalla terra ampie strade, e in casa di Circe, tra i folti querceti e la macchia”.

(Odissea).

È Omero che ci fornisce le prime indicazioni su questa terra nel X libro dell’Odissea, quando narra dell’approdo di Ulisse e dei suoi compagni sull’Isola di Eèa, abitata da Circe, la maga seducente che trasformava in maiali gli uomini che osavano avvicinarsi a lei. L’isola è stata in seguito identificata con Ustica.

Anticamente, Ustica fu un punto strategico per i traffici e i commerci nel Mediterraneo: qui troviamo, difatti, resti della presenza fenicia, greca, cartaginese e romana. L’appellativo con cui i Greci la battezzarono, cioè Isola delle Ossa, era in relazione alle migliaia di ammutinati cartaginesi che nel IV secolo a.C. venivano lasciati qui a morire di fame. Secondo la mitologia, invece, i Greci la chiamavano “Ostèodes”, cioè “ossario”, in relazione al mito delle sirene che, come ci viene raccontato anche nell’Odissea, erano adagiate su un prato, o sedute su una roccia, con tutt’intorno “un gran cumulo di ossa umane”, le ossa dei malcapitati naviganti che rimanevano ammaliati dalla loro voce, perdevano la ragione e si schiantavano sulle rocce dell’isola.

Il nome attuale, invece, lo dobbiamo ai Romani, i quali la chiamarono Ustica, dalla parola latina “ustum”, cioè bruciata, a causa del colore nero delle sue rocce. Nel IV secolo sappiamo che vi si stabilì una comunità Benedettina, che fu costretta a spostarsi dopo poco a causa delle guerre tra cristiani e Arabi. Durante il Medioevo, invece, fu considerata un rifugio sicuro per i pirati, vantaggiosi per l’isola: in questo modo impedirono ogni forma di colonizzazione esterna. Il primo insediamento stabile avvenne intorno al XVIII secolo per opera della colonizzazione dei Borbone. A quel tempo fu anche un luogo di confino per prigionieri politici e lo fu anche sotto casa Savoia. Durante il regime fascista veniva ancora utilizzata come confino per oppositori politici, tra cui Gramsci e Bordiga.

L’isola misteriosa e affascinante allo stesso tempo di cui parliamo è considerata un vero e proprio paradiso, terrestre ma anche sommerso, soprattutto per subacquei e amanti dello snorkeling. Ustica è immersa nelle acque azzurre del Mar Tirreno e una delle caratteristiche che la rende così incantevole è il contrasto tra in nero lavico delle sue rocce dovute alle origini vulcaniche dell’isola, per questo definita “Perla nera del Mediterraneo” e il verde della vegetazione. Caratteristica è anche la presenza di numerose grotte semisommerse posizionate sulle coste frastagliate, spesso raggiungibili solo via mare, similmente alle Isole Eolie, nonostante non faccia parte, però, dell’arcipelago.

L’isola ha avuto un destino tormentato, sin dalle origini intriso di mistero e sofferenza. Forse una maledizione che non si spezzerà mai, oppure prima o poi l’isola riuscirà ad avere un po’ di tregua e a manifestarsi in tutto il suo splendore. Si narra che le sirene ancora cantino ad Ustica, ammaliando gli uomini e le forze della natura. Il mistero tra noto e ignoto sarà sempre parte dell’isola, una convivenza divisa da una linea all’orizzonte, come cielo e mare.

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