
In viaggio a Chernobyl. L’esperienza che si può fare e che ti cambia la vita.

di Sara Andreani
Dopo il successo della miniserie HBO “Chernobyl”, il mito della centrale nucleare sovietica ha ripreso vita dopo anni nel dimenticatoio. Le stime di Chernobyl-Tour segnano un incremento del 40% rispetto al 2018, contando 150mila visitatori entro l’anno.
Nel 2019 la miniserie HBO “Chernobyl”, trasmessa da Sky, ha riscosso un grandissimo successo ricordando il più drammatico e grave disastro nucleare mai avvenuto nella storia. I fatti accaduti la notte del 26 aprile 1986 sono noti a tutti, ma il successo della serie ha riacceso il mito della centrale nucleare, trasformando il turismo ucraino. Con pochi euro è infatti possibile prenotare un tour giornaliero che parte da Kiev e arriva fino alla centrale, con una breve sosta al centro di Pripjat, oggi città fantasma. Personalmente però credo che visitare Chernobyl in questo modo sia paragonabile a una giornata in un parco tematico: toccata e fuga, foto alla centrale e poi via di corsa verso il caldo hotel in centro a Kiev.
Il mio viaggio a Chernobyl invece è durato 4 giorni. Non è certo una meta ideale per le vacanze estive, ma è un’esperienza che ti cambia la vita e che ti lascia un segno e un ricordo indelebili. L’unico pericolo che si corre è quello, al ritorno, di non riuscire più a guardare le cose nello stesso modo.
Sono partita a febbraio 2020, poco prima dello scoppio della pandemia da coronavirus, assieme all’associazione I Luoghi dell’Abbandono di Rovigo. Abbiamo trascorso quattro giorni in un paesino alle porte di Pripjat. Il mio gruppo era composto da circa venti persone provenienti da tutta Italia, tutte interessate a vivere l’esperienza di visitare uno dei luoghi più inospitali d’Europa. Il durante il nostro tour abbiamo avuto modo di visitare a piedi la città di Pripjat, che fino al 1986 era la seconda città più grande e popolosa d’Ucraina, muovendoci tra una vegetazione fitta che negli anni ha inghiottito strade e palazzi. Abbiamo visitato i luoghi simbolo della città, ormai resi irriconoscibili dal degrado degli anni, camminando dentro scuole, negozi e teatri.
Girando per le strade di Pripjat sembra incredibile che siano passati solo 34 anni dal disastro, perché la presenza della vegetazione è talmente forte che non sembra possibile che pochi anni fa quelli che ora sono piccoli boschi, fossero piazze e strade. Si ha la percezione di quanto l’uomo sia piccolo e non indispensabile di fronte alla natura, che alla prima occasione si riprende tutto quello che può.
Il nostro viaggio prevedeva la visita alla centrale nucleare di Chernobyl, tutt’ora “attiva”. All’interno della centrale ad oggi lavorano circa mille operai i quali tengono monitorato il nocciolo del reattore 4 tutt’ora in fiamme, e regolano la rete elettrica della città. Si, perché c’è ancora qualcuno che vive nei pressi della centrale nucleare, e sono proprio questi operai, che periodicamente lavorano e vivono a Chernobyl per poi allontanarsi diversi mesi e disintossicare il corpo dalle radiazioni. È possibile organizzare visite guidate alla centrale ed entrare nelle diverse sale di controllo dei reattori, ancora oggi però, la guida non si sbilancia nell’attribuire le responsabilità del disastro.
L’ultima tappa del viaggio è stata senza dubbio la più emozionante. Il nostro accompagnatore ci ha portato a visitare un piccolo villaggio chiamato Kupovate, nella campagna fuori Pripjat. Qui abita una piccolissima comunità di Samosely, tanto legata alla propria terra al punto da non averla mai lasciata, neanche dopo il disastro nucleare, e per questo disconosciuta dallo Stato ucraino. I pochi abitanti di Kupovate sono donne ormai molto anziane, che per vivere allevano galline e coltivano quello che possono nella terra contaminata dalle radiazioni. Per questo sono anche molto malate, ma non possono permettersi nessuna cura. Ci siamo fermati a lungo a parlare con queste donne, che nel loro ucraino sgangherato ci hanno raccontato la loro storia e le loro difficoltà quotidiane, tra un bicchiere di samogon – vodka distillata in casa – e l’altro, senza mai piangersi addosso. O meglio, qualche lacrima è stata versata anche da loro, ma per la gioia di vedere qualcuno interessato alla loro storia. L’incontro con le babushke di Kupovate ci ha insegnato il valore della generosità, il saper donare anche senza avere nulla, ci ha reso consapevoli di quanto siamo fortunati nel fare la doccia con l’acqua calda, e ci ha fatto dimostrato quanta forza si può avere nell’affrontare le difficoltà della vita.
Chernobyl è un viaggio che si può fare in sicurezza, ma che inevitabilmente ti trasforma qualcosa dentro l’anima.

Figura 3. Abitazione tipica del villaggio Kupovate Figura 4. Babushka Sonia insieme al nostro accompagnatore.
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