
L’innegabilità della plastica. Intervista a Stefano Aliani

di Caterina Lo Franco
Il dottor Aliani, laureato in biologia marina e ricercatore presso l’Ismar della sede di Lerici, mi ha spiegato come ci siano molte deviazioni dell’informazione rispetto al tema degli accumuli di plastica in mare, erroneamente chiamati isole di plastica e di come la plastica stessa per via della sua innegabile visibilità rappresenti uno dei pochi problemi ambientali ad avere impatto sulle persone.
Perché non si deve utilizzare il termine “isola di plastica”?
“Viene utilizzato da giornalisti e ambientalisti perché fa effetto, ma dicono molte falsità, tipo che è grande come la Francia o come il Texas e la gente s’immagina un’isola fatta di plastica. È una deviazione dell’informazione. In realtà è infinitamente più grande della Francia o del Texas. Il sistema va dalla costa americana alla costa giapponese quindi è immenso, ma non è quello il problema. Non è un’isola non è niente di tutto ciò. Si tratta di un fenomeno, un processo scenografico che va dall’America all’Asia. Ci sono due di questi vortici: uno nell’emisfero nord e uno nell’emisfero sud. Sono grossi vortici tropicali e subtropicali che sono lì dalla notte dei tempi ed essendo vortici accumulano plastica e microplastica attraverso un gioco di correnti, ma non sono evidenti come un’isola anzi se ci si trova lì non si vede nulla”.
Si può individuare la data d’inizio di questo fenomeno?
“Il fenomeno esiste dalla notte dei tempi, ma le prime osservazioni sono state fatte negli anni 70. Il vortice fa parte della terra per lo meno da quando i continenti erano messi così, in altre ere geologiche probabilmente c’erano altri vortici. È dovuto alla forma sferica della Terra e alla presenza di acqua. Rispetto alla letteratura scientifica che ho letto la prima volta che viene nominata la presenza d’inquinamento da plastica è con Rachel Carson ne Il mare intorno a noi del 1951”.
C’è una possibile soluzione all’inquinamento di microplastiche, oltre alla prevenzione?
“Non si può riparare ai danni già fatti, perché non ne siamo assolutamente in grado. Quindi si può solo prevenire, ovvero non buttare la plastica in mare. Jenna Jambeck ha pubblicato uno studio su Science nel 2015 in cui per la prima volta viene fatta una stima di quanta plastica è stata gettata in mare. È molto grossolana come stima, rispetto ad altre fatte dopo, ma ci dà un’idea dell’immensa quantità di plastica che è entrata in mare. Negli ultimi dieci anni siamo riusciti ad individuarne solo una parte trascurabile di quest’immensità di plastica che c’è in mare. Supponendo che ciò che abbiamo individuato sia circa il 3-5% del totale, non sappiamo dove sia il 95% rimanente. Come facciamo a pulire se non sappiamo dove si trova?”
Invece per quanto riguarda le macroplastiche?
“La raccolta di macroplastiche è un altro problema, che non si tratta di pulizia, ma di riduzione. Cioè si tratta di ridurre l’impatto. Pulire per esempio tutto quello che si trova sulla costa dovrebbe essere la fase finale di un percorso che parte a monte, per cui partendo dall’uso terrestre, industriale e civile della plastica ci devono essere diversi step nei quali si deve fare pulizie in modo da ridurre al massimo l’impatto. Questo discorso è diverso dal dire “vado a pulire il mare” perché la pulizia costiera e del mare è uno degli step finali. Per il fatto che non sappiamo dove si trovi il 95 % della plastica non possiamo pulirla, anche se ci fossimo sbagliati e mancasse all’appello solo il 90 %, comunque si tratta di una quantità immensa”.
Quindi non è neanche possibile sapere se questa percentuale è aumentata o diminuita negli ultimi anni?
“No, allo stato attuale non possiamo saperlo, ci sono indicazioni e dati che arrivano dagli ultimi anni ma non ci sono dati definitivi che possano constatare se la situazione è peggiorata o migliorata negli ultimi anni a livello globale. Osserviamo però sempre più macroplastiche sulle spiagge e questo non fa supporre che la microplastica stia diminuendo, però sono cose diverse. La plastica nelle spiagge c’è sempre stata ma adesso è molto più abbondante e si trova ovunque anche nei posti più strani del mondo. Quindi la presenza della macro è aumentata, ma quella della micro non possiamo saperlo perché non abbiamo dati a sufficienza”.
C’è una definizione precisa di microplastica? Si può dire che siano semplicemente pezzettini di plastica sotto i due millimetri?
“È una bella discussione, ogni volta che ci si riunisce si discute se sono sotto due millimetri o sotto cinque, una risposta precisa non c’è, il gruppo di lavoro delle Nazioni Unite stabilisce 5 millimetri. Nella maggior parte dei casi ci si adegua a quello che dice il gruppo. Dal punto di vista dell’argomentazione non ha rilevanza se sono due o cinque millimetri. Personalmente uso cinque”.
Quanto è pericoloso cibarsi di pesci, considerando che ingeriscono le microplastiche che si trovano in mare?
“Il primo punto è che un’alimentazione a base di pesce selvatico non è ecologicamente sostenibile per via dell’overfishing. Infatti, intere popolazioni di pesci saranno destinate a ridursi in maniera drastica, soprattutto in alcune zone e questo non ha niente a che vedere con la plastica, ma piuttosto con l’overfishing. Nutrirsi di pesci come alternativa alimentare ad altri prodotti non è sostenibile. Il secondo punto è che sulla pericolosità della plastica ci sono opinioni contrastanti: evidenze di danni sugli organismi marini, che non siano soffocamento o danneggiamento del sistema digerente, non ce ne sono. Evidenze lampanti sull’ingestione di plastica legata alla mortalità non ce ne sono, quindi relazioni dirette di questo genere non ne sono state trovate. Non sappiamo se non ci siano effetti diretti, perché non li abbiamo scoperti o perché proprio non ce ne sono”.
Quindi non è vero che la plastica ingerita è cancerogena?
“No, cancerogena non credo la maggior parte delle plastiche non sono cancerogene per ingestione diciamo che ci sono sostanze aderite alla plastica che possono essere pericolose, ma è un discorso molto complesso e non si può semplicemente dire la plastica è pericolosa e basta. L’argomento richiede una conoscenza profonda di quello che c’è sulla plastica e di come viene veicolata all’interno dell’organismo e anche qua c’è ancora tanto da sapere”.
È vero che la plastica essendo idrorepellente assorbe sostanze nocive come il petrolio rilasciato dalle navi in mare?
“Sì, è vero, ma considerando che ci sono poche unità di microplastiche per metro cubo marino, che non vuol dire zero (20/30 pezzi di microplastica per metro cubo), la quantità di tossine che viene veicolata con concentrazione di questo genere è praticamente nulla. Diverso è quello che succede nelle zone di accumulazione perché hanno maggiore densità, ma si dovrebbe analizzare caso per caso perché anche un legnetto o frammenti di fibre vegetali potrebbe veicolare. Quindi è una semplificazione di concetti molto complessi: bisognerebbe analizzare caso per caso”.
A proposito di questi accumuli, si tratta di un fenomeno più pericoloso in un mare piccolo come il tirreno o ugualmente pericoloso a quello del pacifico?
“Non sappiamo esattamente come si veicola la pericolosità di questo problema. Il rapporto andrebbe fatto tra il mare e la densità di popolazione degli animali marini: 10 oggetti in un mare dove ci sono 10 pesci, non sono la stessa cosa che un mare dove ci sono 10 oggetti e mille pesci e viceversa in un mare dove ci sono mille oggetti e 10 pesci, non è la stessa cosa che un mare dove ci sono mille oggetti e mille pesci. E quindi non è tanto la vastità del mare, ma la densità di popolazione dei pesci”.
Chi è responsabile per la riduzione della plastica: governo, produttori o consumatori?
“Siamo tutti responsabili, nessuno escluso e quindi non possiamo dare la colpa, la responsabilità o il carico a qualcun altro. Tutti devono fare qualcosa, perciò l’industriale deve produrre in maniera sostenibile, il politico deve fare leggi che guidino le persone a vivere in maniera sostenibile, le persone devono seguire leggi e vivere in maniera sostenibile. Quindi siamo tutti coinvolti in questo giochino qua, anche perché l’alternativa è la fine di tutto, se non viviamo in maniera sostenibile.
Facciamo un passo indietro nella storia: un organismo miliardi di anni fa è entrato nell’acqua e questo organismo a differenza degli altri produceva ossigeno, l’alga; ne ha prodotto talmente tanto che il pianeta Terra è diventato ricco di ossigeno, gli organismi che non vivevano di ossigeno sono morti. Noi ora siamo gli organismi che vivevano senza l’ossigeno e la plastica sono le alghe, questo per dire che il pianeta cambia e potrebbe cambiare. Se noi non viviamo in maniera sostenibile facciamo la fine di quegli organismi là, ci estinguiamo. Il pianeta non si ferma, la vita non scompare: siamo noi che scompariamo dal pianeta. Questo problema di sostenibilità non è legato alla plastica, poiché consumiamo più risorse di quante ce ne siano disponibili e una volta finite le risorse finiamo noi come è successo agli organismi preistorici”.
È possibile individuare una data in cui potrebbe finire l’umanità se continuiamo con questo trend?
“L’umanità non finisce, finisce la civiltà per come la conosciamo che sono due cose diverse. Siamo 7 miliardi di persone, 100 anni fa eravamo 2 miliardi o qualcosa del genere. Al tempo dei romani non arrivavamo al milione, probabilmente sugli 800.000. Se noi torniamo a quel numero, torniamo ad una civiltà come poteva essere quella antica, non è che scompare il pianeta o scompare la vita. Sono cose che possono succedere, ma non si sa quando. Una cosa da fare potrebbe essere calcolare quanto velocemente si sposta avanti il punto di equilibrio della sostenibilità nel calendario. Calcolare il giorno in cui l’umanità ha consumato più risorse di quante ne abbia prodotte il pianeta in quell’anno. Questo giorno si sta spostando sempre più all’indietro, cioè sempre più vicino ad ora, perciò significa che consumiamo sempre più le risorse disponibili e utilizziamo le riserve non sostenibili sempre di più. Arriveremo ad un punto che non avremo più risorse e questo è il vero problema.
La plastica fa parte dei planetary boundaries, sono alcuni processi che sono in grado di stravolgere completamente il funzionamento del pianeta e ne sono stati individuati 9, uno di questi riguarda gli inquinanti, tra cui la plastica. Ciascuno di questi processi può sconvolgere il funzionamento del pianeta, ne cito alcuni: cambiamento climatico, acidità dell’acqua ecc. Chi sarà il candidato numero uno è difficile da dire, ma è importante? Noi dobbiamo agire su tutti e nove i fattori”.
Perché anche le persone che sono al corrente di questo problema della plastica non prendono azioni concrete?
“Il problema è che alcuni di questi fenomeni non sono facilmente comprensibili al grande pubblico e quindi si creano correnti negazioniste come quella contro il climate change, che essendo un contesto complesso e di difficile comprensione è facile che non sia capito e quindi negato. Perciò vengono create dietrologie, fake news, tutto un apparato di bugie e falsità per sostenere una teoria non veritiera del fenomeno. Per quanto riguarda la plastica è impossibile negarne la presenza perché è evidente a tutti ed è per questo che ha un grande impatto mediatico. Nessuno può dire che l’inquinamento della plastica non esista e si tratti di una fake news, perché è troppo evidente, per cui è la giusta strada per creare consapevolezza ambientale. La gente deve essere informata, deve sapere quello che succede e poi ci dovrebbero essere delle leggi che gli permettano di vivere sostenibilmente. Alcuni prodotti dovrebbero essere illegali, proprio come lo è la droga, penso ad alcuni prodotti come le paillettes, i palloncini di plastica e gli spray, tutti prodotti che non dovrebbero esistere”.
È ancora possibile allontanarsi da questo giorno in cui consumeremo più risorse di quelle prodotte o è un processo irreversibile?
“Non abbiamo scelta o fermiamo la macchina del consumo sfrenato oppure la macchina si ferma da sola, non c’è alternativa. Non è che non abbiamo tempo, la macchina si fermerà in maniera tragica e drastica, oppure la fermiamo noi in maniera controllata cosicché sia gestita e gestibile. Siamo come il Titanic a tutta velocità e prima o poi l’iceberg lo prendiamo. Dobbiamo fare un percorso culturale, cioè allontanarci dalla cecità moderna occidentale che ci ha creato l’idea del consumo come elemento di valore e tornare indietro di 150 anni a quando il consumo non era un valore anzi era un disvalore come lo era sprecare le cose, che oggi è diventata la regola”.

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