
CAMBIAMO PER IL PIANETA! INTERVISTA A ILARIA GHALEB DELL’ASSOCIAZIONE GIOVANILE “CHANGE FOR PLANET”

di Emanuela Strini
L’ambiente è il nostro mondo. Viviamo in mezzo alla natura, ai mari e agli animali, ma ancora poco siamo consapevoli di quanto siano dannose le nostre azioni. O forse non ci interessa adottare un comportamento responsabile. Sono i piccoli accorgimenti che fanno la differenza. I Governi dovrebbero però collaborare a un grande e concreto progetto comune per aiutare a uscire da una situazione già molto precaria.
Ilaria Ghaleb, membro del consiglio di amministrazione e referente per la comunicazione dell’associazione Change For Planet, si racconta in un’interessante intervista che ha lo scopo di far emergere quanto ci sia ancora da fare per l’ambiente e quanto in prima linea ci siano anche i giovani.
COME NASCE IL PROGETTO “CHANGE FOR PLANET”?
Il nostro progetto nasce molto prima di Change for Planet. Noi come gruppo ci siamo trovati per organizzare la prima LCOY italiana. Una LCOY è una conferenza locale i cui risultati sono portati alla COY(Conference of Youth) e di conseguenza alla COP (Conferenza delle parti).
Abbiamo organizzato la prima conferenza dei giovani locale italiana. Questo è successo nel 2019 e a gennaio abbiamo iniziato a formare un team di persone interessate. Questa grande conferenza ha raccolto a Firenze più di 200 ragazzi provenienti da tutta Italia. E lì, avendo formato un team, dopo aver lavorato così tanto insieme, ci siamo detti “va beh sarebbe un vero peccato se ci ritrovassimo soltanto per 4 o 5 mesi l’anno per lavorare per l’LCOY e non fare nient’altro per gli altri 8 mesi”.
Era nato un gruppo parecchio solido e allora abbiamo deciso di fondare un’associazione che potesse lavorare 365 giorni l’anno e che avesse degli obiettivi più vasti. Attualmente siamo una ventina di ragazzi, tutti under 35. Siamo arrivati anche in Sicilia.
Siamo quindi un gruppo di giovani che sta tendano di ampliarsi: il messaggio che ci tengo a far passare è che le persone sono ben accette all’interno della nostra associazione. Chi ha voglia di fare e di portare avanti progetti interessanti è il benvenuto.
Attualmente stiamo collaborando con tanti progetti: il nostro principale progetto è il Be Part of The Change che noi speriamo di portare avanti ancora per tanto. I prossimi mesi saremo sempre in modalità online. È possibile iscriversi tramite la nostra pagina Instagram, Facebook e tendiamo sempre di avere dei nuovi relatori a parlare. È molto interessante perché abbiamo una parte iniziale in cui parlano relatori quasi tutti giovani ed espongono il mondo del SDGs (Sustainable Development Goals) e facciamo delle Tavole Rotonde dove ci confrontiamo sulla tematica, selezioniamo gli argomenti principali e diamo anche delle soluzioni. Lo scopo finale è quello di creare un documento da portare al comune di Firenze. Ovviamente lo vogliamo portare anche da altre parti, a chiunque ci accetterà perché stanno uscendo fuori molte soluzioni interessanti. Ad esempio, il congedo di paternità che è appena stato approvato in Spagna. Stiamo tentando di darci delle linee guida che possano essere raggiungibili.
Stiamo inoltre facendo dei progetti interessanti con Worldrise – un’associazione che si occupa della salvaguardia dei mari – come il “il progetto 30×30”, con l’obiettivo di rendere il 30% dei mari entro il 2030 mari protetti. Stiamo dando il nostro supporto a loro.
Collaboriamo con l’associazione Asvis (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) e lavoriamo con delle piccole associazioni per fare clean up, ovvero raccogliere rifiuti. Siamo andati di recente sul litorale toscano; siamo stati con Lega Ambiente al Parco delle Cascine a Firenze.
Stiamo anche partecipando a una serie di bandi e progetti europei nella speranza di avere un finanziamento per fare qualcosa di un po’ più grande, anche in collaborazione con le università.
QUAL è IL MOTIVO PER IL QUALE HAI DECISO DI ENTRARE A FAR PARTE DI UNA ASSOCIAZIONE GIOVANILE CHE COMUNICA LA CRISI CLIMATICA?
Il tema dell’ambiente è un tema che ho sempre avuto dentro di me senza nemmeno accorgermene. Io sono nata e cresciuta in campagna e non mi rendevo conto del mondo della città fino a che poi non sono andata a vivere fuori casa. Là effettivamente ho realizzato quanto ci fosse poco contatto fra l’essere umano e la natura.
Ero abituata a vivere nel bosco e non ero mai uscita da questa mia bolla. Poi mi sono resa conto di quanto ci fosse da fare, quanto si fosse perso questo contatto con l’ambiente e quanto effettivamente la situazione fosse critica. Successivamente sono entrata nel mondo della LCOY e da lì ho cominciato a informarmi sempre di più guardando film, guardando documentari magari leggendo qualche articolo… e mi sono molto spaventata.
L’interesse nasce per un bisogno che è quello di fare qualcosa anche di piccolo – perché comunque non siamo tutti Greta Thunberg che abbiamo una grande voce per cambiare le cose – però effettivamente vedo che anche con gli eventi che stiamo facendo con l’associazione qualcuno riusciamo a smuovere. E se facessimo tutti questa cosa, qualcosa cambierebbe.
COME HA FATTO GRETA THUNBERG A DIVENTARE GRETA THUNBERG?
Penso che il mondo avesse bisogno di un simbolo e questo succede sempre quando si porta avanti una qualche lotta.
In passato abbiamo visto Martin Luther King, e Gandhi in India. Allo stesso modo il cambiamento climatico – che giustamente qualcuno la definisce crisi climatica – aveva bisogno di quel simbolo che rappresentasse un pochino tutti. Visto che lei è una ragazza giovane, questo dà proprio l’idea di come il futuro del nostro pianeta sarà in mano a delle persone che non hanno deciso di trovarsi in questa situazione.
Lei è il simbolo che serviva per far arrivare questa notizia il più in lungo e largo possibile.
HANNO PiÙ COSCIENZA DI QUESTO TEMA I GIOVANI RISPETTO GLI ADULTI?
Noi attualmente stiamo collaborando con l’Osservatorio sulla Sostenibilità, che è un raggruppamento di associazioni presenti nell’Osservatorio in Toscana dove siamo insieme a Lega Ambiente, WWF, Fridays For Future e Extinction Rebellion e tante altre piccole associazioni che magari fuori da questo ambiente nessuno conosce, ma fanno comunque un sacco di progetti molto interessanti.
Quando partecipo alle riunioni dell’Osservatorio vedo che io sono la più piccola. Posso dire che i giovani sono più consapevoli, nel senso che se prendi un campione di giovani o di over 50 trovi più ragazzi consapevoli che non over 50 consapevoli.
Però non bisogna mai fare l’errore, secondo me, di dire che i grandi non se ne interessino perché da parte loro vedo tanto impegno. È difficile che un ragazzo di 26 anni ti dica “No non sono interessato alla tematica. L’argomento non esiste”. Molto più semplice è invece che succeda fra gli adulti.
FINE 2020 GRETA HA PARLATO CON IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO GIUSEPPE CONTE. I POLITICI SONO CONSAPEVOLI DEL PROBLEMA?
Ci sono politici e politici. Stiamo collaborando con Eumans – un’associazione che si occupa di diritti civili e ambientali fondata dal politico e attivista Marco Cappato -per alcuni progetti e per sostenerla sua petizione Stop Global Warming. Sul sito www.stopglobalwarming.eu si può firmare una petizione che ha un obiettivo in realtà molto alto, perché vuole diventare una petizione europea e intende raggiungere 1 milione di firme per passare per il Carbon Pricing. Con lui abbiamo fatto una riunione dove avevamo coinvolto una serie di politici italiani fra cui Lorenzo Fioramonti e anche politici stranieri, ed effettivamente loro erano tutti molto interessati all’argomento. Marco Cappato è stato nel Parlamento europeo e si sta dando da fare per una serie di cause.
Ci dovrebbe essere un interesse maggiore, ma con questa storia del Covid19 tutto è passato in secondo piano. Sono state annate distruttive, perché già quando c’è stata l’ultima COP nel 2019 non eravamo arrivati a niente di concreto e quindi la COP del 2020 sarebbe stata fondamentale per rivedere i vari accordi.

QUALI SONO LE PRINCIPALI SFIDE CHE VOI COME ASSOCIAZIONE VI STATE PREFIGGENDO?
Il nostro obiettivo principale come associazione è quello di educare ed essere educati. Tramite i nostri progetti che abbiamo chiamato Be Part Of The Change chiamiamo una serie di relatori e relatrici esperti in un qualche settore che sia connesso ai vari SDGs, obiettivi di sviluppo sostenibile. Sono 17 obiettivi di sviluppo sostenibile che toccano qualsiasi ambito dalle città sostenibili, alla salute, all’educazione.
Di recente abbiamo affrontato la parità di genere, la riduzione delle disuguaglianze con Teresa Cinque, autrice e femminista. C’è una stretta connessione fra la parità di genere e la sostenibilità, nel senso che innanzitutto è stato provato scientificamente che un mondo dove la parità di genere esiste è anche un mondo dove ci sono più possibilità di trovare la sostenibilità e poi perché nei Paesi del Terzo Mondo c’è una stretta correlazione. Le donne, in questi Paesi, sono le maggiori vittime di incidenti domestici perché devono passare la loro vita chiuse in casa e si verificano molti incidenti per monossido di carbonio. Quindi una qualità della vita più sostenibile salverebbe più vite. Nel mondo le donne rappresentano il 39% della forza lavoro, ma detengono solo il 27% delle posizioni manageriali. Anche le Nazioni Unite hanno una parte dedicata alle donne. Noi in particolare abbiamo parlato dei vari problemi che possono in particolar modo affliggere il nostro Paese prendendo anche spunto da Paesi esteri come potrebbero essere la Svezia, la Finlandia e la Norvegia. Abbiamo molto parlato delle non assunzioni delle donne, dei colloqui di lavoro che vengono fatti diversamente per uomini e donne.
Quando parliamo nei vari SDGs iniziamo a parlare della crisi climatica, ma poi andiamo a cercare delle soluzioni concrete su quelli che sono i temi che tocchiamo. L’ultima volta abbiamo parlato di educazione e non solo di educazione in senso climatico, ma anche dell’educazione in generale e di quali siano le falle del nostro sistema educativo.
Il nostro primo obiettivo è quello di educare e il secondo di fare rete. Abbiamo notato che molte di queste associazioni è come se volessero lottare da sole. E questo ovviamente non può portare niente perché siamo troppo piccoli per arrivare in alto. Invece unendoci abbiamo un impatto maggiore.
Ci mettiamo un po’ in mezzo fra le associazioni più grandi e la popolazione. Siamo tutti giovani e questo ci favorisce molto nell’incontro fra ragazzi e le associazioni, ad esempio l’Osservatorio sulla Sostenibilità dove ci sono persone molto più grandi di noi.
Sono tutti obiettivi che fanno comunque parte dell’agenda 2030.
QUANTO C’è ANCORA DA FARE IN ITALIA PER FAR Sì CHE LA POPOLAZIONE SI RENDA CONTO DI QUANTO IL CLIMA SIA UN QUALCOSA DA PROTEGGERE?
Tantissimo. Darei ai giovani maggiore possibilità di informarsi e dedicherei proprio una sezione dell’insegnamento all’educazione ambientale, climatica e civica. Crescendo e studiando questi temi, come l’impatto che può avere un pezzo di plastica nell’ambiente o i vestiti nel riciclaggio, i ragazzi avrebbero una maggiore consapevolezza. E quindi sì, investirei sui più piccoli.
Sui più grandi quello che ho visto è che non li puoi educare. O loro hanno questo spirito di informazione o è difficile. Puoi insegnargli la raccolta differenziata, gli puoi aprire gli occhi su alcune situazioni ma è molto complicato. Con loro andrei ad agire sul piano pratico: anche un documentario da vedere è un qualcosa di utile. Dall’altro lato incentivandoli indirettamente: ad esempio in Germania sono attivi questi box dove si possono inserire le bottiglie di plastica usate e vengono restituiti alcuni centesimi per favorire il riciclo delle bottiglie.
I GOVERNI MONDIALI STANNO COLLABORANDO ATTIVAMENTE PER UN CAMBIAMENTO?
Sì, ma abbiamo dovuto raggiungere un punto di non ritorno. Noi attualmente ci troviamo in una situazione in cui tornare indietro è impossibile. Però possiamo arginare tutti gli effetti collaterali più pesanti che si sono venuti a creare.
Ci sono dei Paesi come la Norvegia che hanno deciso di diventare Carbon Neutral entro il 2030. Si parla di 8 anni entro i quali le emissioni emesse da quel Paese nell’atmosfera non supereranno la capacità della Terra di assorbirle. Non è che vengano stoppate le emissioni, però vengono ridotte al punto che l’atmosfera terrestre possa effettivamente assorbirle.
Molti Paesi invece si sono dati come scadenza il 2050, che sembra vicino ma in realtà quando c’è una situazione di questo tipo è lontanissimo. Altri 30 anni di emissioni in questo modo sono tanti. Tra questi vi sono gli Stati Uniti e la Cina che sono i Paesi che inquinano più di tutti. Alcuni Paesi hanno capito invece l’urgenza che abbiamo e stanno facendo molto.
ESISTE QUALCHE NAZIONE DALLA QUALE PRENDERE ESEMPIO?
In Europa la Norvegia. In Olanda, ad esempio, quasi nessuno usa la macchina. Le piste ciclabili sono delle vere piste ciclabili. In Italia forse non ci rendiamo conto di cosa sia davvero una pista ciclabile perché sono tutte poco sicure. A Firenze sono molto strette le corsie: sono state fatte delle piste che vanno in mezzo alla strada e alle rotonde senza curarsi del pericolo.
Invece in Olanda qualsiasi posto tu voglia raggiungere in bici lo raggiungi e c’è proprio una educazione fin dall’infanzia alla bicicletta. Tutti vanno in bici: le persone, dagli adulti ai bambini, se possono scegliere fra bici e macchina, preferiscono la bici. In Italia siamo abituati a spostarci per singoli tragitti.
Per quanto uno si impegni a essere sostenibile, come avere la macchina ibrida, in realtà qualsiasi componente della macchina inquina. Le batterie della macchina elettrica sono super inquinanti. Il modo di estrarre il litio dalle miniere non è per niente sostenibile. Il gas è un combustibile. Nessuna macchina è davvero sostenibile.
I Paesi del Nord hanno un approccio diverso. Non si riduce a un “mi rendo conto che c’è un problema”, ma a un “agisco”, così che tutto diventi parte di una routine di vita.
CHE COLLEGAMENTO C’è FRA ALLEVAMENTO E CLIMA?
Nel documentario Kiss the Ground è vero che viene spiegato come il disboscamento effettuato per creare suoli adatti ai pascoli provochi l’emissione di CO2 a seguito della ruminazione dei pascoli stessi, ma allevare in modo sostenibile è possibile. Inoltre, alcuni metodi di coltivazione portati avanti da moltissimi anni sono stati reputati errati perché favoriscono l’impoverimento dei terreni e la liberazione della CO2 trattenuta nel sottosuolo.
Mangiare tutti i giorni la carne non è un’alimentazione sostenibile. Un modo per affrontare questo aspetto è consumarne meno e consumarne di miglior qualità. Smettiamola di prendere carne che è stata macellata in altri Stati e poi trasportata coi furgoni in Italia. Penso alle immagini dei ragazzi che si sono infiltrati all’interno dell’industria. Sono agghiaccianti. Se una volta ogni 3 giorni vado al mercato dal mio macellaio di fiducia e so che macella la carne in un’atmosfera protetta e sostenibile, perché no? Non tutti possono fare diete vegetariane, anche per motivi di allergie e salute.
Il tutto si può riassumere in “c’è sempre un’alternativa”. C’è un’alternativa al consumo di plastica, c’è un’alternativa al consumo di carne nel modo sbagliato. Ci sono comunque tante controversie sulla dieta vegetariana o dieta vegana.
Il fatto di coltivare la terra senza dare mai riposo non è un qualcosa di sostenibile. L’innovazione fortunatamente ci sta portando verso sistemi che ci possono aiutare a salvare la terra dalla desertificazione. Ogni giorno ettari ed ettari di terreno diventano deserti o diventano incoltivabili. Siamo tanti su questo pianeta e possiamo cercare delle soluzioni alternative.
L’insalata, ad esempio, che uno coltiva a terra (oltre al terreno) utilizza il 75% di acqua in più di una insalata che invece viene coltivata in sede idroponica.
SE TU FOSSI AL GOVERNO QUALI SAREBBERO LE PRIME COSA DA FARE ASSOLUTAMENTE PER AFFRONTARE LA CRISI CLIMATICA?
Investire su educazione e informazione e anche filtrare le notizie giuste.
Con la storia della pandemia abbiamo visto che se una notizia può passare attraverso i social in modo allarmante, questo può essere davvero fatto. Sarebbe fondamentale creare nelle persone un senso di timore e paura per quello che sta accadendo.
È stato stimato che entro la fine del secolo l’innalzamento del livello dei mari farà sì che molte terre abitate finiranno sotto l’acqua. Fra queste ci saranno zone italiane come il litorale toscano, la Puglia, Venezia, la pianura padana e non solo. Si sta parlando di una situazione che è gravissima. Si conteranno centinaia di milioni di sfollati che se ne dovranno andare dalle loro terre e dovranno emigrare.
Il panico non è fine a se stesso. Si deve fare qualcosa, che non è soltanto prendere e andare in giro in bicicletta, ma è qualcosa di più. Questo però possono farlo solo i Governi.
Punterei quindi su una comunicazione più concreta. Mi piacerebbe svegliare gli animi. Gli effetti più devastanti saranno fra 20 anni.
Educazione e comunicazione quindi come prime cose. E agirei in maniera più concreta su chi non ci crede e da indurlo così a fare qualcosa. Prendere esempio dai Paesi del Nord: lì in tanti hanno montato la pala eolica fuori nel campo o si servono di energie più sostenibili. Le alternative ci sono, ma bisogna incentivare la gente in qualche modo. Al posto di prendermi sei capi di abbigliamento da 10 euro posso comprarne uno fatto bene in un negozio in cui una maglietta mi costa magari 60 euro (slow fashion al posto del fast fashion per ridurre l’emissione di microplastiche e filati sintetici).
È quindi colpa del supermercato che ti pone davanti agli occhi la verdura incartata singolarmente con la plastica o è colpa tua che la compri?
Tanti sono gli interrogativi ai quali rispondere. Solo una consapevolezza dei cittadini e una regolamentazione legislativa possono effettivamente aiutare il nostro pianeta a respirare e a sopravvivere.
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