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Dallo stretto di Messina agli oceani: inquinamento e isole di plastica

Dallo stretto di Messina agli oceani: inquinamento e isole di plastica

di Chiara Verra

Dopo alcuni anni di ricerca e analisi dei dati raccolti, lo stretto di Messina ha visto assegnarsi un triste primato.  L’Università di Barcellona, grazie a una collaborazione internazionale con diversi atenei, ha recentemente pubblicato sulla rivista Environmental Research Letter un documento che attesta come il fondale marino tra Sicilia e Calabria sia il tratto con la più alta densità di rifiuti al mondo, pari a più di un milione di oggetti per chilometro quadrato. Soltanto nel settembre 2020, prima della ricerca pubblicata a gennaio 2021, il biologo marino Carmelo Isgrò, per portare l’attenzione sul problema dei rifiuti nei mari aveva attraversato a nuoto lo stretto di Messina. A preoccupare, è la previsione che nei prossimi trent’anni in quell’area si potrebbe arrivare a tre miliardi di tonnellate di rifiuti. Al pari di una discarica sommersa, la varietà di rifiuti che si possono trovare qui è vastissima, come testimonia lo scatto – inquietante – di un bambolotto immerso in mezzo ad altri scarti.

Nonostante l’Università di Messina contesti questa ricerca per l’area troppo ristretta presa in considerazione, era già risaputo come il mar Mediterraneo fosse uno dei mari più inquinati al mondo. E non è da meno il Tirreno che, secondo un altro studio completato recentemente dall’Università di Manchester, ha trovato nei suoi fondali una densità di 1,3 milioni di micropezzi per metro quadrato.
I rifiuti, in particolare le microplastiche, sono oggi diffusi nei mari di tutto il mondo, persino nei luoghi più remoti degli oceani, come nella fossa delle Marianne a 10 900 metri di profondità. La causa risiede nella produzione eccessiva di rifiuti, conseguenza delle attività umane e della loro cattiva gestione. Il documento dell’Università di Barcellona lancia allora un appello finale, sulla necessità di rimuovere i rifiuti presenti nei fondali marini e di promuovere delle politiche specifiche per risolvere questa problematica.
Fino ad allora, ecco alcuni dei mari più inquinati nel mondo.

1-Great Pacific Garbage Patch

Si tratta di una delle “isole” di rifiuti galleggianti negli oceani. Questi agglomerati si formano con l’azione delle correnti oceaniche, in questo caso il Vortice subtropicale del Nord Pacifico, che trascinano la spazzatura, composta principalmente da plastica, che a contatto con il calore del sole rilascia minuscole particelle. Detta anche Pacific Trash Vortex è la più grande del mondo, da un minimo di 700 mila chilometri quadrati ad un massimo di oltre 10 milioni. Tuttavia, grazie ad una missione del Ocean Voyages Institute a luglio 2020 sono state prelevate 103 tonnellate di plastica, su un totale di 3 milioni di tonnellate stimate. È una piccola parte ma segna comunque un record positivo tra gli interventi fatti finora in questo senso.

2-L’isola di plastica tra Elba e Corsica

Non bisogna andare troppo lontano per trovare, in dimensioni ridotte, un fenomeno analogo a quello degli oceani. Il già citato mar Tirreno non è esente dalla contaminazione della plastica, al punto che tra l’isola d’Elba e la Corsica esiste un accumulo di rifiuti che si estende decine di chilometri, composto in gran parte da oggetti monouso.  Visibile soltanto nei periodi di forti venti e piogge, riceve i rifiuti portati dai fiumi Arno, Tevere e Sarno. Greenpeace si è occupata di monitorare e studiare l’area, anche per la sua vicinanza al Santuario dei cetacei, una porzione del mare densamente popolata da mammiferi marini.

3-Isole Cocos – oceano Indiano

Nel mezzo dell’oceano Indiano un arcipelago, fino a poco tempo fa paradiso incontaminato, è stato invaso da tonnellate di rifiuti plastici portati a riva dalla corrente. Per rendere l’idea di quanto la responsabilità sia da attribuire al comportamento umano, è sufficiente riportare un dato: quasi un milione di scarpe e 370mila spazzolini da denti sono stati contati tra i 414 milioni di rifiuti arrivati su queste spiagge. Il dato sarebbe ancora più alto se si prendessero in considerazione anche i rifiuti presenti più in profondità.

4-Zona morta del Golfo del Messico

Un altro drammatico primato è stabilito dal Golfo del Messico, dove è presente una delle zone morte più grandi del mondo. Questo fenomeno si verifica quando l’ossigeno scarseggia fino a diventare quasi assente in un tratto marino, mettendo di conseguenza in pericolo o sterminando la gran parte delle specie marine che lo abitano. In questo caso il fattore inquinante non sono i rifiuti o le materia plastiche, ma fertilizzanti, concimi e altre sostanze provenienti dall’industria agricola e allevamento, trasportate dal Mississippi. Nell’estate 2020, secondo il monitoraggio dell’agenzia federale statunitense NOAA, l’area ha raggiunto un record nel record, arrivando a misurare circa 17mila chilometri quadrati.

5-Mar Mediterraneo

A causa della sua conformazione di bacino chiuso, le correnti e lo scarso ricambio di acqua fanno sì che i rifiuti abbandonati in mare rimangano al suo interno, facendo ritornare alle spiagge, secondo una ricerca del WWF, l’80 % della plastica in esso riversata. Si stima che pur contenendo soltanto l’1% delle acque mondiali, si concentri nel Mar Mediterraneo il 7% dell’inquinamento da plastica. I principali paesi responsabili in questo caso sono l’Egitto, la Turchia e anche l’Italia. L’area più critica oggi è però quella orientale, interessata dall’industria petrolifera e dalla presenza di guerre sulla terraferma, che come conseguenza portano in secondo piano la problematica.

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