
Rovine di Calabria greca: l’Eremo di Monte Stella

di Maria Cristina Mazzei
Nell’estrema Calabria, un relitto culturale rivela il fascino della religiosità meridionale. L’eremo di Monte Stella, è un luogo desolato e diroccato, dove l’abitudinario silenzio dei malinconici paesi abbandonati viene infranto dalle devote voci superstiti di uomini e donne.
Il Greco di Calabria
La Calabria -fin dai secoli- fu terra aspra, divisa al suo interno tra “ossa e polpa”. Tale espressione coniata dall’economista Manlio Rossi Doria, mette in evidenza la profonda differenza tra le aree interne delle alture fatte di montagne e colline e tra le pianure contenitore delle città. Le prime spettro di un paesaggio: povero, freddo, desolato e lontano; le altre spettro di un paesaggio: ricco e popolato. Ma è proprio tra la fragilità delle “ossa” Calabresi che si nascondono le rovine italo-greche di un’ancestrale civiltà, ponte di collegamento tra oriente ed occidente.
Proprio la Calabria, fu infatti terra d’approdo per i molti monaci bizantini fuggiti nel corso delle persecuzioni iconoclaste. L’influenza della civiltà bizantina, fu così radicata che si riversò perfino sulla lingua. Diversi paesi delle zone montuose iniziarono a parlare una forma particolare di greco mescolata alla lingua dialettale del posto dando vita ad una nuova struttura linguistica “il Grecanico” ovvero il greco di Calabria. Esempio di questa influenza linguistica -che sopravvive ancora oggi in piccoli frammenti- sono l’enclave di Bova e Gallicianò, dove, anziani e uomini -inconsapevoli custodi del patrimonio culturale immateriale– parlano il greco di Calabria.
L’eremo di Monte Stella
L’eremo Calabrese situato sull’antico Monte Cucumella, oggi Monte Stella (700 m), fu un antico romitorio di origine Bizantina sorto attorno l’VIII secolo nel attuale territorio di Pazzano in provincia di Reggio Calabria.
Nel corso del medioevo accolse monache e monaci provenienti in dal mondo ortodosso e poi da quello cattolico. Nel 1522 il monastero divenne infatti santuario e vi fu collocata la statua della madonna che sostituì le vecchie icone bizantine non più presenti. La presenza della statua della madonna sul monte storicamente è ricondotto al periodo delle guerre iconoclaste, inizialmente questa era situata nella città di Stilo successivamente portata sulla vetta probabilmente da alcuni Basiliani di Stilo. Il passaggio dal santuario dei Basiliani di Stilo a Pazzano avvenne in modo tragico. La sconfinata devozione degli Stilesi quasi ossessiva decise nuovamente di riportare la statua della Vergine nella loro terra ma i Pazzanesi venuti a sapere di ciò diedero vita ad una vera e propria guerriglia al grido di “Viva Maria”.
Vi si accede scendendo per una lunga scalinata fatta di circa 62 gradini alla fine dei quali si celano: la statua della Madonna della Stella e dei dipinti fra questi: l’antico affresco risalente al IX-X secolo raffigurante Santa Maria Egiziaca che riceve l’eucarestia da San Zosimo. Tale raffigurazione, testimonia, come probabilmente alle origini quell’eremo fosse abitato da una comunità femminile di religiose dell’universo bizantino. Ancora oggi alla Madonna è riservato un culto religioso celebrato il 15 agosto di ogni anno e vede l’adesione di un gran numero di devoti condurre un peregrinaggio fin sul monte per adorare la santa.
La leggenda che narra l’approdo della Madonna sul monte
La leggenda racconta che una barca proveniente dalla Grecia, durante il periodo delle persecuzioni iconoclaste, per un prodigio divino si sia bloccata in mezzo al mare suscitando grande meraviglia nei marinai, i quali seppur facessero sforzi non riuscirono a smuoverla, per cui decisero di abbandonarla. Nella barca era nascosta una bianca Madonna. Alla sera sul monte Cucumella, apparve una strana e luminosa stella la cui scia indicava una spelonca, luogo scelto come dimora della madonna. Durante il giorno la Statua dentro la barca si animò e divenne umana e abbandonato il vascello si diresse lungo l’antico monte. In alcune versioni della leggenda si racconta che essendo il viaggio faticoso, la divina figura si fece offrire un vitello da un pastore il quale fu incredulo di ciò che vide da lì a poco, infatti lo cavalcò e per mezzo di esso giunse sul monte diruto. Giunta quasi sulla vetta la Madonna venne perseguita da una sete soffocante e tramite il suo sguardo fece sgorgare dalla dura roccia uno zampillo d’acqua.
«Cci jru l’occhi ‘nta na timpa nuda, miraculu cumparsa na funtana».
La Montagna Sacra
La leggenda seppure legata all’universo culturale occidentale sembra celare sopravvivenze della spiritualità bizantina, ad esempio la presenza dell’acqua è topos ricorrente nella letteratura ascetica. La sorgente era infatti una presenza essenziale per la sopravvivenza di tutti quegli uomini e quelle donne che fuggendo dal mondo decidevano di far marcire il proprio corpo nella solitudine della preghiera continua. L’incontaminata verginità del paesaggio era tutto ciò che un asceta bizantino potesse desiderare. Lontano dal mondo profano, immerso nella solitudine contemplativa, l’antico eremo appare simile alle sacre montagne orientali, definito da alcuni addirittura «nuova Tebaide».
Di quel lontano clima di meditazione e di preghiera non rimane che lo stretto anfratto alla sinistra della grande grotta, che una tradizione popolare vuole sia stata la dimora di un Pio eremita U’Rimitiedu. La presenza orientale, sebbene ovattata, è preziosamente celata anche tra le preghiere, le cantilene e le tradizioni orali, ancora oggi in uso. Come ci testimonia questa preghiera:
[…] O vergine dell’unità, tu che su questo monte hai raccolto da sempre le preghiere e le speranze, dei nostri fratelli di Occidente e d’Oriente, donaci presto di vedere quel giorno in cui verrà proclamata da labbra concordi la Parola che salva, e mani fraterne spezzeranno insieme l’unico pane di Vita, perché il mondo creda, speri ed ami, a lode e gloria dell’amore eterno del Padre.
Le rovine -come quelle di Monte Stella- si fanno sante protettrici di identità vacillanti. Nell’era apocalittica in cui i luoghi hanno perso la loro dimensione antropologica, in cui l’alienante globalizzazione procede iper-velocizzata, in cui gli estinti passato e futuro si sono ridotti ad “istantocrazia”, sopravvive un tempo puro –non violentato dalla bruttezza della modernità- in cui poter ancora assaporare il fascino dell’eternità.
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