
IL CANCELLO D’ACQUA ALLE PORTE DELLA PIANURA: LA CHIUSA DI CASALECCHIO DI RENO COMPIE 10 ANNI COME BENE DELL’UNESCO

di Erica Bassi
Nel 2010 l’UNESCO definì la chiusa di Casalecchio di Reno, in provincia di Bologna, “patrimonio messaggero di una cultura di pace a favore dei giovani”. Questa opera idraulica, di origine medievale, rappresenta il punto in cui il fiume Reno abbandona il suo percorso naturale montano per entrare in pianura attraverso il Canale di Reno, costruito dall’uomo.
Nonostante il riconoscimento dell’organizzazione internazionale sia relativamente recente, la chiusa affonda le sue radici nel medioevo. Alcuni documenti riportano l’esistenza di una sua versione rudimentale in legno, chiamata “Pescaja” o “Steccaia”, già nell’anno 1000, con una successiva ufficializzazione nel 1183, con anche l’apertura del Canale di Reno. La deviazione al fiume principale fu effettuata in favore della città di Bologna, portando l’acqua fino alla cinta muraria, costeggiando via del Pratello dopo il suo ingresso dalla ormai simbolica porta Sant’Isaia.
In origine, l’acqua in arrivo a Bologna era di proprietà dei Ramisani che devono il loro nome alla loro natura di comproprietari di un ramo del Reno e che, riuniti in un consorzio, gestivano le spese di mantenimento del canale e della chiusa. Il legno della prima versione fu sostituito dalla pietra nel 1250 per permettere al comune di Bologna di ridurre i costi di manutenzione; purtroppo, le frequenti piene del fiume e l’erosione causata dall’acqua fecero ben presto capire che anche la pietra avrebbe chiesto una dose considerevole di attenzioni. Nel 1310, in seguito ad una piena piuttosto violenta, la chiusa si ruppe, lasciando a secco il canale e quindi Bologna. Da quel momento ebbero inizio una sequenza di controlli ed operazioni di ripristino con cadenza costante, onde evitare nuovamente la sua rottura. Nonostante la cura per la tutela dalla natura, i proprietari della chiusa non fecero i conti con l’indole violenta di quegli anni e nel 1325 la chiusa fu nuovamente distrutta, ma stavolta dalle truppe di Passerino Bonacolsi che marciarono sul territorio casalecchiese in seguito alla battaglia di Zappolino. I ruderi risultano ancora visibili a valle della chiusa, generalmente chiamati con i termini dialettali “Prè-zinèn” (il Pracinino ovvero prato piccolo) o “Masgnòn” (i Macignoni), in loro prossimità vi è una Casa di Guardia su cui è stata posta la targa in ricordo del riconoscimento dato dall’UNESCO.
La chiusa e il canale furono opere dal ruolo fondamentale nello sviluppo dell’industria bolognese. Infatti, rappresentano la maggior fonte d’acqua della città che fra il XIII e il XVIII secolo vide la fioritura dell’industria serica e l’aumento di richiesta idrica per l’uso dei filatoi da seta. Oltre che per la sua funzione, la chiusa risulta famosa anche per un fatto piuttosto curioso avvenuto durante la Seconda Guerra Mondiale. Dopo l’invasione tedesca, finì nel mirino dei bombardamenti aerei, insieme al ponte in pietra posto qualche metro più avanti. Queste due opere architettoniche avevano due funzioni molto importanti per Bologna in quel momento: una portava l’acqua alla città e l’altra risultava essere l’unico collegamento disponibile per chi proveniva dalle montagne limitrofe. La curiosità risiede nel fatto che, nonostante i bombardamenti furono così intensi da demolire completamente il quartiere (mai più ricostruito) sottostante al ponte, né il ponte né la chiusa furono mai colpiti e ancora oggi, nelle zone limitrofe, è possibile rinvenire ordigni inesplosi, motivo per cui vengono ciclicamente eseguiti degli interventi di bonifica sia lungo il fiume che all’interno della città.
Oltre che come punto di ritrovo per i giovani, grazie al parco limitrofo, la chiusa figura come punto d’interesse storico ed è un luogo molto caro ai cittadini casalecchiesi, non solo per l’importanza storica e sociale che dà al comune, ma anche per la bellezza dei paesaggi che sa creare, sia durante le piene che nei periodi di secca. L’opera idraulica, insieme al suo parco, sono visitabili su prenotazione nei periodi di secca, quando è meno pericoloso avvicinarsi al suo scivolo lungo 160 metri. Durante la visita guidata è possibile ripercorre il camminamento che la affianca, costruito nel XVI secolo, e scoprirne l’importanza funzionale attuale per il consorzio che ne è proprietario e che tutt’ora ne coglie i benefici.
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