
ESTINZIONE O REINTRODUZIONE? QUESTO È IL PROBLEMA

IL DISASTROSO EPILOGO DEL PROGETTO LIFE URSUS
di Laura Chiari
La sorte degli orsi presenti sul territorio italiano, perseguitati e uccisi fin dal XVIII secolo e ridotti all’estinzione in molte zone, trasforma l’orso bruno del Trentino-Alto Adige in un caso emblematico sulle contraddizioni ideologiche e pratiche in un progetto di tutela della biodiversità. La situazione di criticità in cui vivevano gli orsi e la progressiva riduzione della popolazione sulle Dolomiti del Brenta, era nota fin dagli anni ’30 del ‘900.
Una specie sterminata per mano dell’uomo: «La causa ultima dell’estinzione dell’orso è probabilmente da ricercarsi nella persecuzione diretta operata dall’uomo. Il successo della eventuale reintroduzione dipenderà dunque in gran parte dal grado di accettazione dei nuovi orsi immessi da parte delle popolazioni locali». Così recita lo Studio di Fattibilità del progetto “Life Ursus”, pubblicato dall’Ufficio Faunistico del Parco Naturale Adamello Brenta e redatto per analizzare le cause della sparizione del grande carnivoro, con l’obiettivo di progettare il suo ritorno nelle zone in cui aveva vissuto spontaneamente fino alla fine degli anni ’90.
Come fare per capire quale sia il pensiero della popolazione rispetto al ripopolamento del plantigrado? Abbiamo (di fatto) causato l’estinzione di una specie nell’Italia settentrionale, vogliamo reintrodurla?
Lo studio viene affidato ad un sondaggio telefonico elaborato nel 1997 da DOXA, somministrato a 1.512 persone residenti nell’area di interesse, ovvero: Trento, Bolzano, Brescia, Verona e Sondrio. La popolazione delle cinque province ammontava complessivamente a 332.346 abitanti. Oltre il 70% degli intervistati si era mostrato a favore di “Life Ursus”.
Ma un sondaggio demoscopico è uno strumento efficace e permette una valutazione attendibile di un progetto così complesso e invasivo, sia per la specie coinvolta, sia per i territori interessati, in cui la progressiva antropizzazione ha ridotto e frammentato l’habitat dei grandi carnivori?
È possibile catturare l’opinione pubblica di cinque province intervistando solo lo 0,5% dei suoi abitanti?
La distanza tra il risultato del sondaggio e l’atteggiamento manifestato nei confronti degli esemplari liberati in natura è tristemente nota; forse, come diceva provocatoriamente Pierre Bourdieu a proposito del sondaggio, “l’opinione pubblica non esiste”. Nel 2011 è stato somministrato un ulteriore sondaggio che ha avuto un esito diametralmente opposto a quello del ‘97.
La decisione di ripopolare una specie estinta mostra drammaticamente tutti i suoi limiti fin dai primi incontri uomo-orso, che vanno sempre a finire abbastanza bene per l’uomo, ma molto male per l’orso. Gli orsi, infatti, una volta liberati, si comportano come tali: vanno a caccia procurando danni all’agricoltura, percorrono grandi distanze, reagiscono se vengono avvicinati dall’uomo e difendono energicamente la loro prole, diventano “confidenti” alla ricerca di cibo, si spingono vicino alle malghe e ai centri abitati.
Le istituzioni riprendono quindi la caccia agli orsi “problematici”.
Sono decine gli esemplari uccisi accidentalmente durante la cattura, abbattuti o imprigionati in gabbie all’interno di strutture come quella del Centro faunistico del Casteller, due orsi: M49 e M57, sono rinchiusi in uno spazio palesemente inadeguato, come rilevato dai Carabinieri Forestali inviati dal Ministero dell’Ambiente. Una delle gabbie del Casteller aveva “ospitato” anche l’orsa DJ3, segregata per dieci anni e trasferita in Germania senza il coinvolgimento delle associazioni animaliste e senza fornire informazioni esaustive sulla sua nuova sistemazione.
Un’altra orsa, JJ4, era stata dichiarata pericolosa dopo un incontro fortuito con due cacciatori nel giugno del 2020, che si era concluso con alcune ferite sul corpo dei due malcapitati.
Il Presidente della Provincia autonoma di Trento Maurizio Fugatti aveva emesso subito un ordine di abbattimento, impugnato dalla LAV e sospeso dal TAR, e in seguito un’ordinanza di cattura. Eppure l’orsa era in compagnia dei suoi tre cuccioli e due esperti come Massimo Vitturi, responsabile animali selvatici della LAV e Alessandro de Guelmi, medico veterinario esperto di fauna selvatica, sono concordi nel sottolineare che la reazione del mammifero è stata un normale comportamento specie-specifico chiamato “falso attacco”.
L’ordinanza di cattura, che avrebbe portato alla reclusione dell’esemplare, era stata impugnata nuovamente da LAV e l’ultimo atto di questa battaglia era andato in scena il 25 marzo 2021, di fronte al TAR di Trento. Dopo settimane di attesa per la sorte di JJ4 e dei suoi cuccioli è arrivato finalmente il verdetto: l’orsa resta libera. Sarà per sempre?
Da tempo alcune associazioni animaliste si stanno prodigando per gli orsi trentini ottenendo pochi risultati. Le azioni legali sembrano infrangersi contro il muro di normative in atto nella Regione a Statuto Speciale, contro le quali nulla sembra poter prevalere, nemmeno l’ex ministro dell’Ambiente Sergio Costa, nemmeno il Governo Italiano, nemmeno il buonsenso. C’è da chiedersi come sia possibile lasciare che una singola regione o una singola Provincia possano disporre liberamente del patrimonio faunistico dello Stato.
A questo interrogativo cerca di rispondere una nuova proposta di inserimento della tutela dell’ambiente e degli animali all’interno della Costituzione, che ha iniziato il suo percorso nella Commissione Affari Costituzionali del Senato lo scorso 23 marzo.
Si tratta di un segnale importante per il riconoscimento degli animali e dell’ambiente nella Costituzione e della potestà esclusiva dello Stato in materia di tutela degli animali. Il testo recita: “La Repubblica tutela l’ambiente e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni; protegge la biodiversità e gli animali”.
La speranza è che una gestione centrale possa porre fine al grottesco meccanismo di cui sono vittime gli orsi bruni: ti perseguito finché non ti estingui, ti reintroduco in natura, ricomincio a perseguitarti.
Dopo lo Studio di fattibilità e l’approvazione del progetto, dieci esemplari sono stati selezionati, narcotizzati, prelevati dalla Slovenia e “spostati” in Trentino, come fossero oggetti, strappandoli per sempre al luogo in cui erano nati e cresciuti. Poi sono stati muniti di radiocollare (per tracciarne i movimenti e non lasciare loro scampo nel caso si fosse deciso in seguito di rimuoverli). Infine, ogni “problema” causato da un incontro ravvicinato uomo-orso, si è risolto con la frettolosa decisione di procedere con la captivazione o l’abbattimento dell’esemplare. Questo nonostante dal 2013 l’orso bruno sia stato inserito nuovamente dal Comitato italiano della IUCN (International Union for Conservation of Nature) nella “lista rossa”, ovvero la Red List of Threatened Species o Lista Rossa delle Specie Minacciate, con livello massimo di rischio estinzione.
Forse lo Studio di fattibilità avrebbe dovuto prevedere anche un piano B, una soluzione, un’alternativa efficace per mettere in salvo gli esemplari “problematici”, perché in questo modo gli unici a correre davvero dei rischi sono solo gli orsi.
Come scriveva Dino Buzzati: «L’orso è anche avventura, favola, leggenda, continuazione di una vita antichissima, scomparsa la quale ci sentiremmo tutti un poco più poveri e tristi».
Figura 2 – Distribuzione dell’orso nell’Italia settentrionale: l’areale di presenza della specie è simboleggiato dai punti gialli (disegni Laura Valenti, Documento del Parco n° 18).
Figure 3-4 – Doppio rendering che ricostruisce gli spazi del Centro faunistico del Casteller in cui sono rinchiusi alcuni esemplari. Immagini realizzate da Alessandro Ghezzer, fotografo, scrittore ed escursionista.
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