
Seaspiracy, Netflix pesca negli oceani

di Emanuela Strini
Ci siamo mai interrogati sulle nostre azioni quotidiane? Sappiamo cosa portiamo in tavola?
Su Netflix c’è un documentario dai toni forti che parla della vita nei mari e di come lo stiamo distruggendo, senza però capire che distruggere i nostri mari vuol dire un giorno sparire anche noi.
Il racconto è narrato dal punto di vista di Ali Tabrizi, amante da sempre del mondo marino e delle sue meravigliose specie. Le sue passioni sono sempre state delfini e balene.
Inizia ad appassionarsi profondamente ai mari quando comincia a guardare dei documentari e i suoi modelli di riferimento dai quali prendere ispirazione sono l’oceanografa Sylvia Earle, l’oceanografo Jacques Cousteau e il naturalista David Attenborough. Ali immaginava un mondo incantato sotto l’acqua, ma col tempo si è scontrato con una realtà spaventosa.
Sui media rimbalzano news di cetacei spiaggiati nella costa sud-orientale dell’Inghilterra e tutto questo lo porta a volerne sapere di più. Le nostre azioni hanno un impatto enorme sugli oceani. Tantissimi animali vengono trovati pieni di plastica. Questi animali, però, contribuiscono a tenere sani e vivi gli oceani. Delfini e balene, mentre riemergono per respirare, concimano il fitoplancton.
Si sente spesso parlare di anidride carbonica e cambiamenti climatici, ma in pochi sanno che è vitale la salvaguardia degli animali marini. La morte di delfini e balene danneggia anche noi
Le plastiche che vengono gettate in mare si scompongono in pezzi minuscoli, definiti microplastiche, uccidendo molte creature marine.
Per tutti questi motivi, Ali ha deciso di diventare “poliziotto della plastica”. Appoggia ogni organizzazione che si occupa di tutela marina, si occupa di pulire le spiagge e usa sia bottiglie riciclabili che borracce per ridurre l’impatto sull’ambiente.
Tra i suoi obiettivi ci sono quelli di evitare oggetti in plastica, come spazzolini, buste, posate e cannucce.
Un problema dai toni neri che necessita di attenzione è l’apertura in Giappone della caccia alle balene in Antartide. La caccia alle balene è vietata dal 1986, ma alcuni paesi non rispettano tale normativa. Nel sud del Giappone c’è una località chiamata Taiji, dove ogni anni 700 delfini e vengono spinti in una cala per essere uccisi.
L’attivista americano Ric O’Barry spiega che «il governo giapponese si impegna fare in modo che nessuno sappia nulla. Se vai lì, anche se sai cosa succede, rischi di essere arrestato e tenuto dentro a lungo”.
È stato stimato che dal 2000 al 2015 ogni delfino pescato equivale a 12 delfini uccisi. La loro carne, inoltre, non ha mercato. I delfini vengono ritenuti una specie infestante, perché pensano che mangino troppi pesci.
Nella località di Kii Katsuura vi è un porto che si occupa di pesca del tonno del pacifico ed è il pesce più costoso del pianeta. I prezzi in continua ascesa portano all’estinzione di tali animali. Oggi resta il 3% di questa specie.
È una industria da 42 miliardi di dollari l’anno. Un’azienda del settore è la Mitsubishi che detiene il 40% del mercato. Gli squali, ad esempio, vengono uccisi per le loro pinne e farci una zuppa da mangiare. Costa fino a 100 $ a porzione. L’estinzione degli squali porta al deserto marino e i prossimi a sparire saremo noi.
Attenzione è da riservare anche alla pesca accidentale, ossia pescare accidentalmente una specie di pesce mentre se ne sta cercando un’altra. 50 milioni di squali, ogni anno, muoiono in questo modo.
In Islanda, invece, in un mese sono state catturare 269 focene, 900 foche di quattro specie diverse e 5000 uccelli marini.
E tutto questo viene chiamato pesca sostenibile?
La Sea Sheperd, organizzazione senza scopo di lucro registrata negli Stati Uniti e che si occupa di salvaguardare la fauna ittica e gli ambienti marini, ha scoperto che sulla costa atlantica francese muoiono ogni anno 10.000 delfini a causa della cattura accidentale.
Le persone non sanno che mangiare pesce vuol dire condannare i delfini. C’è stato un peschereccio che per prendere 8 tonni ha ucciso 45 delfini.
La pratica di inserire dei marchi di sostenibilità sulle scatolette o confezioni è ormai diventata una pratica, per molti, di tipo commerciale.
Mark J Palmer, direttore associato dell’International Marine Mammal Project, spiega che non si sa cosa succeda veramente in mare. Eppure, le scatole del tonno riportano il marchio Safe Dolphin. Ci sono delle guardie che controllano l’operato delle pesche, ma in effetti non c’è un’assoluta certezza di come avvenga tale pesca. Quindi, come ci si fa a fidare pienamente di questi marchi?
Un altro problema importante è quello dei pescherecci quando gettano in mare le reti per catturare i pesci. Uno studio internazionale valuta che ogni anno la plastica uccide 1000 tartarughe marine. Le cannucce di plastica rappresentano lo 0,03% della plastica in mare.
La pesca commerciale danneggia notevolmente il mondo acquatico e fa anche più danni della plastica in mare. Il 90% delle barriere coralline entro il 2050 scomparirà. I pesci per i coralli sono importanti e nessuno lo spiega.
Il professor Chris Langdon racconta che ciò che gli animali espellono è importante per i coralli.
Secondo questo documentario, non si può parlare di pesca sostenibile, per via del forte impatto a livello ambientale e sanitario.
Seaspiracy dura1h e 29 minuti e permette di fare un viaggio dove difficilmente possiamo arrivare, ma è anche un modo per interrogarci sulle nostre azioni.
Le critiche non sono mancate, tanto che National Fisheries Institute ha chiesto a Netflix di inserire una categoria chiamata “propaganda”.[1]
Molti infatti lo ritengono un documentario un po’ troppo apocalittico e poco vero. Non resta che guardarlo.
[1] https://animalequality.it/blog/tutto-quello-che-devi-sapere-su-seaspiracy/
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