
Cosa sono gli NFT e perché inquinano tanto?

“Immaginate di trovarvi davanti alla Monna Lisa e pensare ‘mi piacerebbe che fosse mia’ e qualcuno nei paraggi dicesse ‘dammi sessantacinque milioni di dollari e io brucerò una quantità non specificata di foresta pluviale amazzonica per consegnarti questa ricevuta d’acquisto’”. Non è l’inizio di uno stravagante giallo alla francese, ma il modo con cui l’utente di Tumblr @queersamus descrive a un altro utente, che aveva dichiarato di non sapere cosa fossero, la natura e l’utilizzo degli NFT. Si tratta di una delle invenzioni più controverse e misconosciute dai tempi delle criptovalute, alle quali sono associati per loro natura: e nonostante paiano innocui, in quanto non materiali, sono anche tra le più inquinanti.
Cosa significa “NFT”?
NFT è l’acronimo di Non-Fungible Tokens: nel linguaggio comune il “token” è un oggetto simbolico, dal valore convenzionale, come i gettoni di una sala giochi o un bollino premio. La particolarità degli NFT giace però nelle prime due lettere, “non fruibili”. Si tratta infatti di certificati d’acquisto che insigniscono il loro proprietario di possesso su un oggetto digitale, che sia unico e autentico, e che non può essere scambiato con un altro o copiato. Un vero e proprio “pezzo unico” – che non è possibile toccare, afferrare, maneggiare o esporre, ma che dà all’acquirente la consapevolezza di esserne proprietario.
Tra gli NFT più famosi figura un breve post su Twitter, pubblicato il 21 maggio 2006, che recita la frase “just setting up my twttr”. A pubblicarlo fu Jack Dorsey, fondatore dello stesso Twitter, e rappresenta di fatto il primissimo post mai pubblicato su tale sito. Il proprietario di tale post, la cui proprietà è appunto certificata da un NFT, è invece il CEO Sina Estavi, della società Bridge Ora, che per ottenerlo ha speso 2,9 milioni di dollari. Coincidentemente, dopo l’acquisto, Estavi ha pubblicato un suo tweet dal proprio profilo, paragonando l’acquisto del piccolo post proprio all’atto del comprare un’opera d’arte, come la Gioconda dell’esempio all’inizio.
Leoni, paperi e diavoli
Ma non solo Twitter: un NFT può attestare la proprietà su qualunque cosa, purché sia digitale. Opere d’arte, appunto, ma anche pezzi musicali, clip animate, codificazioni di un videogioco, o “statuette” digitali che si possono consultare con un’app creata per lo scopo. Una famosa compagnia specializzata in NFT è Lazy Lions, che mette in vendita immagini uniche, programmate digitalmente, raffiguranti il disegno a cartone di un leone antropomorfo. Ciascuno dei personaggi presenta caratteristiche diverse, scelte casualmente da un algoritmo, come lo sfondo, gli abiti che indossa, colore e forma della criniera. Non ce n’è uno uguale all’altro, e possederne uno soltanto può costare migliaia di dollari. Compagnie analoghe sono Bored Ape e Nonconformist Duck, che raccolgono attorno a sé una comunità molto vivace: grande appassionato di NFT è lo YouTuber e pugile amatoriale Jake Paul, che spesso sfoggia su Twitter i suoi ultimi acquisti.
I decided to auction my 1/1 Mike Tyson @SacredDevilsNFT with all proceeds going to the @Boxingbullies foundation. Love dis project, let’s go devils <3
Auction Link: https://t.co/ed70IOn2Mz pic.twitter.com/fcjPx94Tg6
— Jake Paul (@jakepaul) September 27, 2021
Ma dietro un’iniziativa apparentemente innocente e spiritosa si nasconde un’insidia per l’ambiente di cui sono ancora in pochi a parlare davvero. Come può un file completamente digitale e di fatto incapace di rilasciare alcuna scoria fisica risultare inquinante? La risposta è semplice: dispendio di energia.
Perché gli NFT inquinano?
Le criptovalute, di cui i Bitcoin rappresentano l’esempio più famoso, sono valute completamente virtuali che esistono al di fuori delle banche, che si possono acquistare con denaro convenzionale e utilizzare per una varietà di transazioni in modalità peer-to-peer, senza bisogno di intermediari. Per garantire però la sicurezza delle transazioni e prevenire truffe, furti e falsificazioni, il sistema Bitcoin e le altre criptovalute richiedono però un grande impegno di crittografia, il quale a sua volta presenta un massiccio consumo di elettricità. Ed è qui che giace l’aspetto più controverso della moneta elettronica, e con essa degli NFT. Per limitare il meno possibile la contraffazione, i dati dietro agli NFT sono calcolati, in un processo chiamato mining, con un dispendio di elettricità deliberato che li rende sempre più difficili da ricopiare, ma le cui conseguenze sull’ambiente sono nefaste.
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Gli operatori dietro alle criptovalute, detti miners, realizzano quotidianamente complessi calcoli per assicurare la protezione dall’esterno dei loro codici. Secondo uno studio portato a termine dall’Università di Cambridge, solo il network dei Bitcoin consuma l’energia pari ai dispositivi d’uso quotidiano di tutta l’America, con emissioni di CO2 che superano le ventidue tonnellate: la quantità prodotta da uno stato intero, come lo Sri Lanka. Questo, peraltro, considerando solamente i Bitcoin: saranno la criptovaluta più conosciuta, ma non sono l’unica. Tra le altre figura l’Ethereum, la criptovaluta più usata per gli NFT, il cui processo di mining utilizza più di 48.000 kwh: la stessa elettricità dell’intera Libia. Ecco così che un semplice codice informatico rilascia quotidianamente quantità immani di CO2 nell’atmosfera: tutto per acquistare, a prezzi ben sopra il livello medio di sussistenza, il diritto di proprietà su file digitali che tutti possono vedere e scaricare.
Rimostranze dal pubblico
Una recente controversia di ambito ecologista relativa al mondo degli NFT riguarda il colosso Disney, che sul proprio canale Twitter ufficiale annuncia la messa in vendita di una serie di NFT dedicati ai loro personaggi più famosi. Essi si presentano nella forma di statue tridimensionali di un lucido color oro, simili alle statuette degli Oscar, e sono stati immediatamente accolti con disprezzo e livore da parte della comunità online.
In celebration of #DisneyPlusDay, get ready for a week of Golden Moments featuring some of your favorite Disney, @Pixar, @StarWars, @Marvel, and @TheSimpsons characters immortalized as NFT artwork. For more details: https://t.co/xp5rzmQCFV pic.twitter.com/gWkm5kkwRL
— Disney (@Disney) November 8, 2021
Particolarmente criticata è la scelta di modellare una delle statuette digitali con le sembianze di WALL-E, il robottino protagonista dell’omonimo cartone Pixar. Il film del 2006 presentava un forte messaggio ecologista: ambientato in un futuro post-apocalittico, in cui la terra è stata distrutta dall’inquinamento e da cumuli interi di spazzatura costringendo le persone a rifugiarsi nello spazio in un’immensa astronave-città, insegnava ai più piccoli a trattare la terra con rispetto, prendendosi cura delle forme di vita verdi (rappresentate da una minuscola pianta che WALL-E e l’amica meccanica EVE devono portare in salvo sulla terra) ed evitando di farsi abbindolare dalle mode più frivole e scialacquatrici.
Eccolo ora immortalato in un pezzo d’arte digitale la cui produzione inquina quanto un intero stato, assieme ad Iron Man, Homer e Bart Simpson, Elsa e il pezzo grosso in persona, Walter Elias Disney, che solleva in aria il “figlioccio” Topolino. Invano alcuni utenti cercano di difendere il colosso del cinema, affermando che la compagnia VeVe, che si occupa di produrre gli NFT Golden Moments della Disney, dovrebbe essere la prima a realizzarne di completamente ecologici: sembra un impegno difficile da portare a termine con tutte le specifiche degli NFT come mezzo.
Se a qualcuno interessasse, il protagonista del racconto all’inizio non porta a casa la Monna Lisa. Quello che ottiene è un biglietto fatto a mano che lo attesta possessore del quadro (ben nascosto in un ripostiglio delle scope), e un poster della Monna Lisa in vendita allo spaccio.