
Atacama. Discarica cilena del fast fashion

Giulia Tosoni
Nel deserto di Atacama, territorio esteso nel Cile settentrionale, sorge una delle discariche di abiti usati più grande del pianeta. Il docu-video di DW News ( https://www.youtube.com/watch?v=Xf4NVo6_8Z0 ) parla chiaro, la situazione è diventata insostenibile. Gli avanzi del consumismo sono fuori controllo e finiscono per essere abbandonati in posti come questo deserto, dove migranti e persone molto povere finiscono per ravanare in montagne infinite di indumenti in cerca di qualcosa da indossare o da rivendere nelle cittadine vicine.
Il deserto più arido del mondo, oltre ad ospitare un ecosistema unico nel suo genere, ha dato – purtroppo – i natali a un’immensa necropoli di abiti del fast fashion.
Secondo il report di Al Jazeera: “almeno 39.000 tonnellate di abiti di seconda mano e stock invenduti finiscono per accumularsi sulle dune del deserto cileno” (https://www.aljazeera.com/gallery/2021/11/8/chiles-desert-dumping-ground-for-fast-fashion-leftovers).
Si tratta di indumenti prodotti per lo più in Cina e Bangladesh che transitano prima nei negozi in Europa, Stati Uniti e Asia per poi arrivare in Sud America. Il Cile, infatti è il più grande importatore di abiti dell’America del Sud.
Al Jazeera, nel suo report afferma che: “ogni anno, arrivano circa 59.000 tonnellate di vestiti, impacchettati in balle, al porto di Iquique”, dove mercanti e contrabbandieri ne acquistano grandi quantità per rivederle in tutta l’America del Sud, ma una grande parte rimane invenduta.
Gli importatori usano e abusano il deserto per abbandonare i vestiti che non possono essere né venduti né riciclati.
I capi fast fashion sono prodotti con materiali non biodegradabili ad alto contenuto di prodotti chimici, ed è per questo che non possono essere accettati dalle discariche comunali per essere smaltiti correttamente. L’abbigliamento sintetico trattato con sostanze chimiche richiede 200 anni per biodegradarsi ed è tossico tanto quanto i materiali plastici e gli pneumatici.
Tuttavia, ci sono iniziative e aziende interessate a questo grave problema che si impegnano a trasformare i tessuti del deserto di Atacama in pannelli d’isolamento termico come fa Ecofibra (http://ecofibrachile.cl/about.html), o come Ecocitex ( https://www.ecocitex.cl/pages/nuestra-historia ) che crea nuovi filati dai vestiti scartati. Anche l’organizzazione no-profit Desierto Vestido si propone di sensibilizzare il popolo cileno sull’impatto ambientale che questo abbandono provoca.
Non possiamo incolpare solo i produttori. L’ascesa del fast fashion è una conseguenza della domanda in costante crescita causata da un consumismo senza limiti, che contribuisce all’inquinamento mondiale.
Il settore dell’abbigliamento è entrato sempre più nella mentalità “dell’usa e getta” e questo grazie anche alla globalizzazione: la domanda in continua crescita e un numero sempre maggiore di persone decise ad acquistare il più possibile spendendo il meno possibile.
Comprare spesso, spendere il minimo e sbarazzarsi subito: è una scelta tutt’altro che etica e consapevole che fa pagare pegno all’ambiente.
Tutto ciò nasce dal fenomeno del fast fashion, ci si riferisce a quel settore della moda che realizza abiti scadenti e molto economici e che rinnova le collezioni frequentemente.
Questo fenomeno della “moda veloce” produce conseguenze sia sull’essere umano ma soprattutto sull’ambiente.
Dovremo abituarci a comprare solo il necessario e non cedere alla tentazione del: “ma si, costa poco, lo prendo, tanto che male c’è”, perché questo pensiero, che può sembrare banale, è tutt’altro, e lo si nota dalle ripercussioni che ha sull’ambiente.
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