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E’ scoppiato il futuro. Digitale e ibrido

E’ scoppiato il futuro. Digitale e ibrido

E’ in uscita l’ultimo saggio di Giorgio Triani, sociologo, giornalista e anche direttore di wateronline. Una riflessione che ha in Covid 19 l’ante e il post di un mondo e una società che stanno cambiando in modo profondo, veloce e sconvolgente. Siamo infatti di fronte a un cambio d’era e non solamente di stagione sociale, che la pandemia ha accelerato e che costringe tutti noi (istituzioni, sistema educativo, partiti politici, imprese, singole persone) a ripensare modelli organizzativi, pratiche di consumo, usi, costumi e abitudini quotidiane.

E’ uno tsunami quello scatenato dalla prima pandemia globale della storia. Prevederne gli esiti, come  sempre, è impossibile : fammi indovino che ti farò ricco. E’ certo tuttavia che il come saremo non può prescindere da come eravamo prima di covid19 . E naturalmente da come e quanto il virus ci ha cambiati e ci sta cambiando. E’ questa circolarità che sostiene l’intera analisi e riflessione. E’ la relazione dinamica passato-presente-futuro che lascia intravvedere possibili tendenze e scenari.

L’introduzione che vi anticipiamo dà conto dello spirito e dello stile di E’ scoppiato, il futuro. Virale. Digitale. Ibrido ( UniNova, Parma 2021, €14,00). Un saggio che inaugura la collana “Eureka. Cultura e innovazione” e un progetto di nuova generazione digitale che ha il suo punto di riferimento creativo e pratico nel Master in Comunicazione digitale, mobile e social dell’Università di Parma.  Sarà in libreria dopo le feste, ma è già disponibile su www.uninova.it oltre che su Amazon

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Quando soffia il vento del cambiamento, alcuni costruiscono muri, altri mulini a vento   (Proverbio cinese)

Prima di guarire qualcuno chiedigli se è disposto a rinunciare alle cose che lo hanno fatto ammalare (Ippocrate)

La realtà è quella cosa che, anche se si smette di crederci, non scompare (Philip K. Dick)

Non è necessario rinunciare al passato per entrare nel futuro. Quando si cambiano le cose non è necessario perderle

(John Cage)

Nel 2036 il Nobel per la medicina potrebbe essere assegnato a una applicazione di Intelligenza Artificiale. E’ una delle fantasie verosimili dell’edizione 2021 del tradizionale report sul futuro possibile di The Economist. La pandemia ha infatti impresso una forte accelerazione al futuro. In poco tempo abbiamo fatto un balzo di anni. Quasi un salto d’era. Che in poco tempo ha sconvolto usi, costumi e consumi consolidati , imponendone rapidamente di nuovi.

Gli italiani in smart working erano poco meno di 700 mila a gennaio 2020: a maggio 2021 sono diventati più di 8 milioni. In tre mesi, in occasione del primo lockdown, i pagamenti elettronici sono aumentati del 68%, con un incremento percentuale di 11 punti: lo stesso registrato dal 2011 al 2019.

Ma nel 2020 secondo l’Ocse, si è perso anche quel che si era guadagnato in più di un decennio, dalla crisi del 2008. Nel contempo che per effetto delle ingenti risorse pubbliche richieste per fronteggiare la pandemia il debito globale rispetto al pil è salito al 355% nel 2021. L’anno peggiore, secondo gli economisti, dalla fine della II Guerra mondiale. Però il migliore di sempre per Big Pharma che con i vaccini ha realizzato il più grande business della sua storia, mettendo all’incasso ricavi aggiuntivi stimati sui 150 miliardi.

Il vaccino è stato ed è, peraltro, il protagonista assoluto di una vicenda non ancora finita e anzi sempre incombente. Per effetto delle temute varianti del virus, ma soprattutto per lo spettro dello spillover e di altri virus letali che potrebbero nuovamente diffondersi.

Arduo come sempre fare previsioni attendibili. Fammi indovino che ti farò ricco. E’ molto probabile tuttavia che smart working e e-learning resteranno in modo permanente nelle nostre esistenze, perchè sempre più ibride, non più separate, ma continuamente in grado di passare dall’off all’on line, dallo stato reale a quello digitale. E’ già pronto il neologismo: phygital ( fisico+digitale). Essere figitali, ossia ibridi, presenti e distanti, vicini ma lontani, indipendentemente dall’essere live o sullo screen, sarà presto una condizione abituale di vita e non solo di studio o lavoro. Saremo On Life.

Già  da tempo peraltro  viviamo in un mondo ibrido dove gli estremi coesistono, come i paradossi, e le diversità sempre più numerose, clamorose o sfumate, confliggono senza annullarsi però. Quella che era un problema essenzialmente da urbanisti, la città ibrida, è diventata una condizione che investe la politica, i diritti civili, anche di genere, le età delle persone, i rapporti sessuali, le appartenenze sociali, gli status professionali, le esperienze, gli oggetti. Misto non è più una categoria anomala, quasi sospetta, confinata in un gelato, un minestrone o nello sport del tennis. E mescolare non rimanda più in via quasi esclusiva a cocktail e drink. Essere mixed è oggi attribuzione che s’applica in tanti ambiti. Multitasking è la parola che sintetizza l’ibridismo inteso come attitudine multipla, possibilità di fare più cose contemporaneamente, anche diverse e intercambiabili.

Competenze ibridanti sono peraltro un concetto guida nell’ambito del mercato del lavoro e delle professioni. Né vi sono dubbi che anche il virus, con il suo carattere mutante e virale, sia perfetto per rappresentare l’assoluta emergenza e rilevanza dei social media, dove la viralità è appunto un fattore di successo decisivo, e più in generale una situazione di grande, veloce e profondo mutamento.

Che lo si voglia accettare o meno il cambio d’epoca in corso ci costringe a riprogettare velocemente le nostre esistenze.  Se è vero ad esempio che 9 lavoratori su 10 esprimono il desiderio di non ritornare più in ufficio a tempo  pieno. Con la consapevolezza però che sarà terribilmente faticoso cambiare radicalmente abitudini e immaginare un domani che già prima della pandemia sentivamo ostile.

Ricordiamo le  immagini idilliache del primo lockdown,  scandite dai beneauguranti hastag #insiemecelafaremo e  #tuttoandràbene. Sono durate giusto il tempo di renderci conto quanto il coprifuoco prolungato e soprattutto le coabitazioni costrette e prolungate ci abbiano resi peggiori: più di quanto già non fossimo. Astiosi  anche fra le mura domestiche e fra vicini. Ma non meno litigiosi fuori casa. A prescindere dall’essere no vax o no green pass oppure pro vax o pro green pass

A livello internazionale non è andata meglio. La guerra dei vaccini, usati come arma di pressione geo-politica o strumento per affermare supremazie tecnologiche nazionali è, puntualmente, lì a dimostrarlo. Allo stato attuale e forse mai come ora le previsioni devono avere ben presente il nostro passato prossimo. Perché è altamente probabile che il sentimento negativo che ci portiamo addosso da tempo non svanirà d’incanto. E che non si attenuerà da un giorno all’altro quella disruptive economy, in azione da anni, che la pandemia ha fatto deflagrare. Prospettandoci realisticamente periodi di grande turbolenza, nei quali le situazioni, le parti in gioco, i sentimenti, le età della vita, gli stati dell’essere nella sua varietà di manifestazioni sociali, giusto per aumentare il clima di incertezza, sfumano, si mescolano, contraddicono, sovrappongono.

Ovunque, per ribadire il concetto, è lo stato ibrido che si manifesta e impone. Concezioni e idee fondanti come democrazia e libertà sono oggi interpretate in modi molto variabili e perfino antitetici.  Sistemi economici e politici assolutamente alternativi sino a ieri, come capitalismo e comunismo, tendono ora fondersi e confondersi. Alla stessa maniera della contrapposizione globale-locale che risulta sempre più sfumata. I passaggi di stato, da una condizione all’altra, ma in modi non permanenti, sono propri e costitutivi della “società mobile”, ormai pienamente dispiegata.

Tutto è in movimento e la transizione accelerata dal pervasivo processo di digitalizzazione è un processo sistemico al quale niente e nessuno può sottrarsi.

Tuttavia rimpiangere i tempi in cui tutto era chiaro e definito o lamentarsene serve a poco. Perché comunque non torneranno. Più utile e produttivo è invece partire dalla consapevolezza che ogni crisi è anche una straordinaria opportunità di scelta. L’occasione per decidere cosa della nostra storia personale e collettiva vogliamo abbandonare o portarci appresso.  Provando a immaginare, appunto, quella società ibrida che, accelerata dalla pandemia, è in piena azione. Sconvolgendo tutte le abitudini, soprattutto quelle più consolidate.

Questa d’altronde è la traiettoria che propone il presente saggio: cercare di immaginare una nuova normalità, muovendo dall’urgenza di ripensare l’organizzazione del lavoro e il sistema di welfare. Di riparare diseguaglianze economiche e sociali ormai intollerabili su scala mondiale. D rivalutare cura delle persone e salute pubblica, valore politico e sociale di beni elementari, ma fondamentali, come il verde, l’aria pulita, gli spazi pubblici, la mobilità dolce e l’uso sostenibile delle risorse.

Praticamente ciò che oggi risulta più compromesso, ma indispensabile per materializzare un futuro amico, un mondo più umano, una società gentile. Tali da consentirci di affermare che stiamo davvero entrando in un’epoca o inizio di era post-pandemica.

 

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