
Musica eco-friendly. La grande sfida

di Lorenzo Biacca
La battaglia globale portata avanti dai movimenti ambientalisti si è ormai imposta anche al mondo delle tecnologie che si occupano di diffusione musicale. Vinili, compact disc, audiocassette e lo stesso streaming inquinano come mai avremmo pensato, ponendo una seria riflessione sulla necessità di implementare modelli di produzione e fruizione più sostenibili.
Alcune realtà particolarmente sensibili e lungimiranti ci stanno provando, ma innanzitutto cerchiamo di capire perché oggi è così importante assumere una maggiore coscienza green al riguardo.
Vinili e CD: gli ultimi dati della retromania
I numeri parlano chiaro: l’interesse per il supporto fisico sta tornando a crescere come non si vedeva da decenni. Secondo i risultati dell’ultimo IFPI Global Music Report (LINK https://www.ifpi.org/wp-content/uploads/2020/03/GMR2021_STATE_OF_THE_INDUSTRY.pdf) nel 2020 le vendite globali di dischi in vinile sono accelerate vertiginosamente, con un aumento dei ricavi del 23,5%, quando l’anno precedente era stato del 6,1%.
Questo andamento al rialzo trova conferma anche Italia (LINK https://www.fimi.it/mercato-musicale/dati-di-mercato/mercato-italiano-in-crescita-del-34-nel-primo-semestre-2021.kl) e Regno Unito (LINK https://www.bpi.co.uk/news-analysis/2021-in-music-vinyl-cassettes-continue-surge/).
Lo stesso discorso vede interessato anche il CD che, negli USA per la prima volta dal 2004, vede salire i propri dati di vendita, come riportano le ultime stime diffuse da Billboard (LINK https://www.billboard.com/pro/cd-sales-up-2021-adele-bts-taylor-swift/ ).
Notizie sicuramente buone per lo sviluppo del mercato musicale, meno per chi si occupa di studiare il danno ambientale che la produzione e lo smaltimento di CD e audiocassette stanno arrecando al nostro pianeta.
Le ricerche: perché vinili e CD sono così pericolosi
Due studi “storici” al riguardo provengono dal saggio-inchiesta “Decomposed” (LINK https://mitpress.mit.edu/books/decomposed) scritto da un musicologo dell’Università di Oslo di nome Kyle Devine e da un’indagine realizzata da Greenpeace (https://www.greenpeace.to/greenpeace/?p=886) nel 2004 sull’azienda thailandese Thai Plastic and Chemical Public Company Limited, leader mondiale nella produzione di plastica utilizzata per la fabbricazione di vinili, ditta che per anni ha continuato a riversare scorie tossiche nel fiume Chao Phraya.
L’analisi di Devine ha evidenziato come la lavorazione dei 33 e 45 giri che ascoltiamo abitualmente venga ancora oggi realizzata con l’utilizzo di PVC (cloruro di polivinile), una resina plastica ricavata dal petrolio, cancerogena ed estremamente pericolosa per l’ambiente poiché, anche se riutilizzabile, riesce ad essere recuperata solo in minima parte, dati gli elevati costi di riciclo.
La maggior parte degli scarti viene allora smaltita impropriamente causando enormi danni all’ambiente, come ebbe modo di denunciare Greenpeace nella sua inchiesta e come confermò ulteriormente un procedimento giudiziario conclusosi in California nel 2004 (LINK https://archive.epa.gov/epapages/newsroom_archive/newsreleases/a2e0bb4dd7a5eff8852570d8005e1654.html) che vide condannare e sanzionare una delle maggiori aziende produttrici di vinili statunitensi per aver esposto i suoi lavoratori ad esalazioni nocive e aver riempito di scarti tossici le falde acquifere di un noto fiume locale.
Lo studio del musicologo ha poi evidenziato come il danno all’ambiente non sia determinato solo dallo smaltimento improprio dei materiali di produzione in fiumi e terreni, ma anche dalle emissioni carboniche che vengono generate non solo quando vengono lavorati i vinili, ma anche quando vengono trasportati e imballati.
Quanto inquina un vinile
I risultati di una ricerca condotta (LINK https://www.eso.it/anche-ascoltare-musica-in-streaming-ha-un-impatto-sull-ambiente-basta-saperlo-16740) da due professori inglesi della Keele University di Newcastle-under-Lyme (UK) hanno dimostrato che per produrre un vinile sono necessari 135 grammi di PVC e un’emissione media di 0,5 kg di anidride carbonica per ogni singola stampa.
Moltiplicando questo valore per i 4,1 milioni di dischi in vinile venduti annualmente nel Regno Unito si ottengono quasi 2mila tonnellate di biossido di carbonio all’anno: un dato sicuramente elevato.
Per i CD la situazione è persino peggiore: servono meno emissioni di CO2, ma per produrlo occorre un composto di policarbonato e alluminio che non può essere separato in un’eventuale fase successiva di riciclo e quindi sostanzialmente impossibile da recuperare alla fine del suo utilizzo.
E la musica digitale?
Ad una prima apparenza la soluzione più eco-sostenibile parrebbe allora ricadere sullo streaming, ma ricerche come quella della Keele University conducono a tutt’altre conclusioni: i data server che memorizzano, elaborano e diffondono la musica digitale producono una quantità di calore tale che per essere assorbita richiede molta energia elettrica che, a sua volta, produce un impatto molto più significativo sull’ambiente.
Se a questa si aggiungono i KW necessari per trasmettere le tracce e farle arrivare ai nostri dispositivi tramite reti Wi-fi e 4G si comprende quanto la scelta di ascoltare musica su Spotify o Amazon Music non sarebbe certo tra le più apprezzate da Greta Thunberg.
A questo punto meglio tornare al buon vecchio vinile e capire quali soluzioni alternative possono essere messe in campo, sia per produrlo sia per ascoltarlo nel modo meno inquinante possibile.
Il vinile completamente eco-friendly
Qualche artista particolarmente illuminato ha iniziato a progettare sistemi di fabbricazione al 100% green , seppur rudimentali e, senza ombra di dubbio, poco riproducibili su larga scala, come il musicista britannico Nick Mulvey (https://www.nickmulvey.com/) che nel 2019 ha deciso di stampare 105 copie in vinile del suo singolo “In The Anthropocene” utilizzando plastica riciclata al 100% proveniente dai fondali oceanici delle coste della Cornovaglia, sua terra di origine.
https://twitter.com/nickmulveymusic/status/1179738111594631168?s=20
In the Anthropocene on Ocean Vinyl sold out yesterday in a few hours 🙀💥Made entirely from plastics reclaimed from the Atlantic Ocean & picked up on Cornish beaches, Ocean Vinyl is a collaboration between myself, @SharpsBrewery, Keynvor and vinyl mavericks @TangibleFormats. pic.twitter.com/jNSVkKVI8h
— Nick Mulvey (@nickmulveymusic) October 3, 2019
I primi “vinilifici” green: Jack White e la Third Man Records
Chi ha osato di più è stato Jack White, chitarrista e cantante leader dei White Stripes, che si è dato da fare aprendo, circa una ventina di anni fa, una piccola fabbrica di vinili a Detroit, battezzata Third Man Records (LINK https://thirdmanrecords.com/).
Al suo interno tutti gli impianti di fabbricazione presenti sono stati progettati rispettando criteri di sostenibilità ambientale, basandosi su un meccanismo che permette di riciclare l’acqua utilizzata dalle presse durante la stampa dei dischi.
L’invenzione della danese RPM Records: la WarmTone
A queste imprese portate avanti da singole persone, si aggiungono azioni più corpose e significative realizzate da marchi e aziende che ritengono ormai imprescindibile introdurre e attuare un discorso di sostenibilità anche nell’ambito della distribuzione musicale.
Un primo interessante esempio ci è fornito dalla RPM Records (LINK https://rpmrecords.dk/), giovane ditta danese che ha iniziato a stampare vinili in modo “green” sfruttando le tecnologie di un ingegnoso impianto realizzato in Canada, chiamato WarmTone, che permette di stampare 2400 copie in un solo giorno.
Oltre alla sua portentosa efficienza, questo macchinario non solo ricicla l’acqua utilizzata nel processo di raffreddamento, ma recupera anche il 20% dei residui di lavorazione, limitandone in questo modo la dispersione nell’ambiente.
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