
Discarica sulla falda che scotta. In Puglia

di Fabio Massimo Conte
La realizzazione in una zona con numerosi pozzi dell’acquedotto
crea allarme sanitario.
“Siderum insedit vapor siticulosae Apulie” (arriva alle stelle l’afa della Puglia sitibonda). Così Orazio descriveva la Puglia come assetata e povera di acqua. Una situazione che ha sempre accompagnato il Meridione e il Salento.
La natura argillosa del terreno e la tenerezza delle calcareniti affioranti hanno permesso lo scavo di pozzi che, profondi pochi metri, intercettavano la falda acquifera superficiale.
Essendo dipendente dalle acque meteoriche, la falda è soggetta alle quantità di precipitazioni che possono essere anche estremamente ridotte.
Inoltre, raccogliendo le acque di superficie, è contaminata da sostanze organiche che hanno provocato in passato numerose epidemie di colera e tifo.
La costruzione dell’Acquedotto Pugliese, con i suoi vari rami, fu avviata nel 1906 per risolvere questo problema partendo dalle sorgenti dei fiume Sele e Pertusillo.
Poiché la portata non era sufficiente per tutto il territorio, nel Salento si ricorse alla realizzazione di pozzi artesiani i cui più importanti e numerosi sono a Corigliano d’Otranto.
Questi emungono da una falda acquifera, molto profonda e molto ricca, che ha rappresentato una importante fonte per lo sviluppo agricolo e l’approvvigionamento di acqua potabile per l’intera provincia di Lecce contribuendo al suo sviluppo socio-economico.
A sottolineare l’importanza di questi pozzi è la presenza del serbatoio idrico più grande d’Europa con una capienza di 22 milioni di litri d’acqua.
Sotto l’aspetto geologico le Murge Salentine disegnano un territorio estremamente carsico, costellato da grotte e vore, e fatto di modeste alture lungo una dorsale di sedimenti calcarei, dove affiora la «pietra leccese», il materiale lapideo con il quale è fiorito il famoso «Barocco leccese».
Le attività estrattive di pietra leccese nel corso dei secoli hanno lasciato molte aree fatte di terreni svuotati, più o meno grandi, riconoscibili dalle immagini satellitari di Google Earth.
Sono soggette anche a studi archeologici per le antiche tracce antropiche nelle vicinanze, come alcune vecchie carraie incise sulla roccia.
Nel XX secolo, con una accelerazione dovuta al miglioramento delle condizioni economiche dopo la Seconda Guerra Mondiale, le tracce antropiche hanno preso il sopravvento non più come esterne ma come interne.
Con il riempimento molto spesso abusivo di queste cave con rifiuti, sia domestici che provenienti da attività artigianali e industriali.
Un’inesistente coscienza ecologica e una sostanziale ignoranza della pericolosità di ciò che si portava in discarica hanno portato ad un accumulo di tonnellate di rifiuti che, in alcuni punti, hanno pesantemente compromesso la salubrità dei luoghi.
Il percolato prodotto nel tempo è penetrato, attraverso la porosità della pietra leccese, nella falda superficiale rendendola inutilizzabile per gli usi umani. Il rischio più alto, però, è che il percolato raggiunga la falda profonda.
Appare chiara l’incompatibilità della presenza nella stessa area di pozzi, per l’emungimento di acqua per usi potabili, e discariche.
Questa chiarezza probabilmente non era presente il giorno in cui è stata indicato Corigliano d’Otranto come luogo nel quale attivare una discarica.
Proprio sulla falda che alimenta gran parte della provincia di Lecce. Peraltro, il vecchio sito, creato nel 1987 dalla bonifica di una discarica abusiva, era stato chiuso e messo in sicurezza già nel 1995, in quanto l’Acquedotto Pugliese aveva sconsigliato la realizzazione di discariche di RSU nell´intero agro di Corigliano, per non inquinare la falda.
Il Piano Regionale per i Rifiuti, il cui aggiornamento è stato approvato il 14 dicembre 2021, prevedeva, già nelle prime versioni, l’apertura a Corigliano di una discarica nella quale dovranno essere conferiti rifiuti urbani che abbiano subito un processo di biostabilizzazione spinta e che, comunque, dovrà essere chiusa nel 2025.(1)

Immagine satellitare che evidenzia, attraverso una modifica del contrasto, la vicinanza tra la discarica, realizzata ma ancora non attiva, e i pozzi e il serbatoio dell’Acquedotto Pugliese. Immagine Google Earth, data acquisizione delle immagini 28 giugno 2020, Copyright Google
L’impianto, benché autorizzato e ultimato nel 2013, non è stato mai aperto lasciando sul territorio una pesante spada di Damocle di un possibile inquinamento della falda data la poca distanza, verificata da studi, tra il fondo della struttura e l’acqua che scorre in profondità.
Il Salento sconta una grave condizione sanitaria con alta incidenza di tumori e chi si oppone all’apertura sottolinea il sovraccarico delle varie situazioni di rischio ambientale in un territorio già prostrato.(2)
Nel documento di proposta dell’aggiornamento del piano si prendeva atto di un incontro con i rappresentanti degli enti locali e della provincia per valutare l’utilizzo del sito ipotizzando anche gli effetti di una eventuale sua chiusura.
Prendeva anche atto della prossima saturazione degli esistenti siti di smaltimento di Manduria (Taranto) e Ugento (Lecce), in esaurimento nella prima metà del 2022.
Viene quindi richiesta l’individuazione di siti alternativi, al servizio dell’area centro e sud della Puglia, che dovranno aggiungersi all’impianto in servizio a Deliceto (Foggia).
La Regione Puglia ha fretta per disinnescare il problema rifiuti e indica delle priorità di azioni, da concordare con i Comuni e l’AGER Puglia (Agenzia territoriale della Regione Puglia per il servizio di gestione dei rifiuti), per soddisfare il fabbisogno impiantistico di smaltimento nel breve e medio periodo.
In ordine abbiamo:
1) siti di smaltimento dotati di un titolo autorizzativo per i quali è stato già sottoscritto contratto di concessione;
2) siti di smaltimento aventi volumetrie disponibili per i quali è necessario provvedere alla chiusura definitiva;
3) nuove volumetrie individuate su scala provinciale dai Comuni e dall’AGER, in qualità di ente esponenziale degli enti locali.
Tra le righe la Regione dice che c’è un sito pronto (Corigliano d’Otranto), che si devono chiudere i siti quasi colmi (Ugento e Manduria), i Comuni e l’AGER devono trovare alternative se Corigliano non va bene. (3)
La spinta alla raccolta differenziata, puntando alla quota del 80% per ogni singolo comune della provincia, condurrebbe ad un abbattimento dei costi e della quantità di rifiuto da portare in discarica.
Questa virtuosa riduzione renderà possibile l’obiettivo, fissato per il 2025, del tetto al 20% di rifiuti in discarica e dell’azzeramento dello smaltimento per i rifiuti idonei al riciclaggio o al recupero entro il 2030.
Purtroppo queste date ed obiettivi sono ancora lontani mentre il problema è urgente. Il nuovo Piano Regionale per i Rifiuti ha confermato l’apertura, anche se fino al 2025, dell’impianto di Corigliano vincolata alla predisposizione di un piano specifico di monitoraggio ambientale e al conferimento di rifiuti, con biostabilizazione spinta e “inertizzati”, per ridurre le possibilità di rilascio di sostanze inquinanti.
Il Piano lascia comunque una porta aperta ad una soluzione concordata per trovare un altro sito anche se tutti gli altri sindaci sembrano affetti dalla sindrome Nimby (Not in my back yard= non nel mio cortile) con esiti suicidi.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.