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Linci, castori e cervi. Tornano in Italia

Linci, castori e cervi. Tornano in Italia

di Sabia Braccia

Meno di un mese fa il WWF ha reso noto il progetto di reintroduzione della lince eurasiatica nelle Alpi Giulie. Quello che oggi registriamo come il mammifero più raro d’Italia in realtà già abitava il territorio alpino; la reintroduzione di esemplari provenienti da Romania, Svizzera e Croazia ha soltanto lo scopo di rinforzare numericamente e geneticamente il minuscolo nucleo già presente. Recentissimo anche l’avvistamento di castori in Molise e Campania, naturale conseguenza dell’espansione del roditore che dopo 500 anni è tornato ad abitare l’Italia. Estinti intorno al Seicento, i castori sono stati avvistati in Italia nordorientale dal 2018 ma, cosa ancor più sorprendente, in Italia centrale dal 2021, come spiega Eugenia Greco per «L’indipendente». È difficile pensare che la popolazione del nord Italia sia scesa fino alle rive del Tevere ad Arezzo, allontanandosi così tanto dal territorio di Udine nel quale era stata avvistata, per cui gli zoologi ritengono che alcuni esemplari siano stati liberati in Toscana dall’uomo senza autorizzazione. Certo, anche il castoro abitava le rive dei nostri fiumi, ma le reintroduzioni devono essere accuratamente pianificate per valutare bene tutti gli impatti sugli ecosistemi.

Operazione cervo italico

Cervo italico (Cervus elaphus italicus)

Ben pianificata è per esempio l’“Operazione cervo italico” presentata due giorni fa in conferenza stampa a Roma. Collaborano al progetto i Carabinieri Forestali che gestiscono la Riserva Naturale Bosco della Mesola, il Parco Naturale Regionale delle Serre, l’Università di Siena, il WWF Italia, l’ente di studi faunistici DREAM Italia, l’Istituto Zooprofilattico sperimentale di Lazio e Toscana e il Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie dell’Università Alma Mater Studiorum di Bologna. L’operazione prevede di trasferire per tre anni alcuni esemplari di cervo italico dal Bosco della Mesola (Emilia-Romagna) al Parco Naturale Regionale delle Serre (Calabria) nel periodo compreso da novembre a marzo. Tutti i cervi presenti in Italia infatti, tranne il nucleo della Mesola, sono cervi europei, introdotti nel Dopoguerra. Gli ultimi esemplari della sottospecie autoctona di cervo infatti «in condizioni di isolamento genetico, hanno un futuro incerto per il rischio di consanguineità, di possibili modificazioni dell’habitat o possibili epidemie». Lo scopo è quello di creare anche un’altra popolazione in Italia per un mammifero decimato dalla caccia e dalla trasformazione degli habitat, oggi minacciato in Emilia-Romagna anche dalla consistente popolazione di daini che ne limita le risorse alimentari.

Lince, castoro e cervo italico ma anche orso bruno marsicano, lupo e cervo sardo sono fra i mammiferi italiani che necessitano o hanno necessitato di particolare attenzione. Il report di Legambiente, Natura selvatica a rischio in Italia, realizzato in occasione del World Wildlife Day (3 marzo 2023) ricorda che l’Italia presenta un notevole livello di biodiversità, ospitando «una fauna tra le più ricche d’Europa, con il 10% di specie endemiche» anche se molte fra queste sono attualmente a rischio per diversi fattori, soprattutto di natura antropica. L’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) riporta che fra i vertebrati italiani sono a rischio d’estinzione «il 21% dei Pesci cartilaginei, il 48% dei Pesci ossei di acqua dolce, il 2% dei Pesci ossei marini, il 19% dei Rettili, il 36% degli Anfibi, il 23% dei Mammiferi e il 27% degli Uccelli nidificanti».

Il focus sul lupo in Italia

Lupo italico o appenninico (Canis lupus italicus)

Insomma, quasi un quarto dei mammiferi è a rischio ma ci sono state in Italia anche “storie di successo”, analizzate dal report già citato di Legambiente. A parte quelle riguardanti l’avifauna (berta maggiore, berta minore e grifone), per i mammiferi possiamo guardare quello che è successo alle popolazioni di lupo alpino e appenninico nel nostro Paese. Caratterizzata come specie alla soglia dell’estinzione alla metà del secolo scorso, dagli anni ’70 del Novecento il lupo ha ricominciato a crescere e distribuirsi sulle Alpi e su tutta la penisola, arrivando oggi ai circa 3.300 esemplari. Oltre alla particolare resilienza del lupo stesso sono stati fondamentali per il raggiungimento di questo risultato il regime di protezione introdotto, l’abbandono delle campagne, l’aumento della copertura forestale e delle popolazioni di prede naturali e il lavoro compiuto dalle aree protette. Tra 2018 e 2022 la popolazione di lupi è stata accuratamente studiata, sono stati realizzati decine di chilometri di percorsi a piedi per mapparla, per raccogliere ogni tipo di traccia ed inserirla in un database nazionale con tutte le informazioni utili. Il focus di Legambiente si occupa poi di un aspetto fondamentale, quello della gestione del conflitto fra lupo e uomo, degli attacchi al bestiame, dei danni economici e dell’efficacia dei dispositivi di protezione (cani da guardiana, recinzioni elettrificate e presenza umana) soprattutto quando combinati fra loro. Vengono analizzate anche le risposte al conflitto date da altre nazioni, come la Svizzera e la Francia, e le proposte, non risolutive né appropriate, di abbattimento. L’ultima parte è dedicata all’analisi delle cause di mortalità che purtroppo vedono come prevalente l’investimento (oltre il 50% dei casi registrati).

L’auspicio per la difficile situazione dei mammiferi, e di tutte le altre specie a rischio in Italia, è che i loro ecosistemi riescano ad essere preservati, gli ostacoli al loro sviluppo rimossi e i trasferimenti e le reintroduzioni, quando necessari ed autorizzati, realizzati. Il lavoro svolto sul lupo, i dati raccolti e le analisi svolte – soprattutto relative ai conflitti – devono essere svolti per molti altri viventi. L’eccezionale biodiversità del nostro territorio va tutelata, ovviamente con la collaborazione di esperti, riserve e popolazione locale che deve essere informata e educata alla convivenza, anche risarcita in alcuni casi. Questo per fronteggiare almeno localmente e in parte quella che gran parte della comunità scientifica individua come la “sesta estinzione di massa”, la grandissima perdita di biodiversità globale causata dall’uomo.

Qui il report di Legambiente, Natura selvatica a rischio in Italia 2023

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