
Settima bianca? A che costo? Limiti della neve artificiale

di Sabia Braccia
Nell’estate 2022 il Consiglio dei Ministri ha dichiarato lo stato di emergenza per deficit idrico nelle regioni del Nord Italia e a dicembre ha confermato il provvedimento per un altro anno. Le regioni in crisi idrica, dal Piemonte al Friuli, dall’Emilia-Romagna alla Toscana, dalla Liguria all’Umbria e al Lazio, registrano infatti livelli di siccità davvero preoccupanti. Pioggia e neve sono state grandi latitanti anche dall’inizio del 2023, presentandosi in periodi e quantità troppo cospicui per far sperare in un’estate davvero migliore di quella del 2022, l’anno «più caldo e siccitoso nella serie climatica nazionale, iniziata nel 1800 e gestita dal CNR-ISAC di Bologna», con le peggiori perdite mai sperimentate di massa glaciale alpina, secondo il report di Legambiente Nevediversa 2023. Le nevi alpine provvedono al 60% dell’alimentazione del Po ma proprio lungo il bacino del fiume il deficit nivologico è arrivato addirittura al 61%; anche sugli Appennini la situazione non è molto diversa. Per le località montane, le cosiddette “terre ad alta quota” il problema riguarda anche il settore turistico: la scarsità di precipitazioni invernali condiziona la stagione sciistica e porta i gestori dei vari impianti ad utilizzare la neve artificiale.
Dal bacino al cannone sparaneve: produrre la neve artificiale
Il procedimento attraverso il quale si ottiene la neve artificiale presenta però costi molto esosi, sia a livello economico (produrre un metro cubo di neve artificiale costava 2 euro tra 2021 e 2022 mentre costa tra i 3 e i 7 euro tra 2022 e 2023), che a livello di risorse energetiche e naturali. Anche il costo “idrico” è un problema, proprio perché le località che hanno bisogno di ricorrere all’innevamento artificiale sono appunto in deficit idrico per la scarsità di precipitazioni. L’emergenza idrica in alcune regioni è talmente forte che il mese scorso il governatore dell’Alto Adige, Arno Kompatscher, ha firmato un’ordinanza per contenere il consumo di acqua, con una misura che prevede anche uno stop alla produzione di neve artificiale e un monito ai possessori di piscine, agli agricoltori e ad altre categorie di utilizzare l’acqua in modo parsimonioso. Anche la provincia autonoma di Trento si è mossa a riguardo, tanto che Laura Boschini, dirigente generale dell’Agenzia provinciale per le risorse idriche e l’energia del Trentino, ha suggerito di utilizzare acqua non potabile per determinate pratiche come il lavaggio dell’auto o l’irrigazione dei giardini. La dipendenza dall’innevamento artificiale è più forte in Italia rispetto agli altri paesi alpini; «la percentuale di piste innevate artificialmente è del 90%, seguono l’Austria con un 70%, la Svizzera con il 50%, la Francia con il 39%. La percentuale più bassa è in Germania, con il 25%». L’acqua necessaria viene prelevata da fiumi, torrenti, bacini artificiali ma anche dalla rete di acqua potabile e viene poi stoccata in serbatoi o invasi a cielo aperto. Questi ultimi, che devono essere semi-pianeggianti vengono impiantati in territori a forma di conca (oppure in aree appositamente disboscate e sbancate), che vengono poi ricoperti da teli impermeabilizzanti e riempiti d’acqua. Quest’acqua viene successivamente miscelata ad aria compressa e sparata attraverso i cannoni sparaneve a temperature adeguate per cui le minuscole gocce, prima di cadere a terra, cristallizzano e diventano neve.
Il prelievo costante di acqua per l’innevamento artificiale da torrenti o bacini naturali già soggetti a deficit mette a rischio gli ecosistemi e porta anche ad un livello di spreco non indifferente: tra l’evaporazione durante lo stoccaggio e altre perdite infatti «solo il 40-60% dell’acqua [prelevata] può essere effettivamente utilizzata». Ci sono poi i problemi legati al suolo: innanzitutto le tubature e le canalizzazioni necessarie modificano il deflusso idrico, inoltre la neve artificiale pesa di più di quella naturale e contiene più acqua liquida (15-20% a fronte del 7-10% di quella naturale) ed esercita quindi un carico diverso sul suolo. In questo modo la capacità di isolamento termico del terreno e la possibilità di passaggio d’ossigeno al di sotto del manto nevoso diminuiscono, causando il congelamento del suolo ma anche l’asfissia del sottostante manto vegetale o la sua putrefazione. Considerando che il 90% delle piste italiane ricorre alla neve artificiale e che per produrre due metri cubi di neve serve un metro cubo di acqua, per l’innevamento artificiale «il consumo annuo di acqua già ora potrebbe raggiungere gli 96.840.000 di metri cubi che corrispondono al consumo idrico annuo di circa una città da un milione di abitanti».
Ricorrere così tanto all’innevamento artificiale non è e non potrà essere una soluzione sostenibile; il report di Legambiente e il WWF auspicano infatti una riconversione del settore sciistico. «Già nel 2006 la Convenzione delle Alpi riconosceva la necessità di sviluppare tempestivamente strategie di adattamento per il mondo del turismo invernale» ma da allora ci si è rivolti solo alla neve artificiale. In un presente di crisi idrica e in un futuro ben poco roseo un’opzione per il turismo ad alta quota potrebbe essere quella di riconsiderare attività che non prevedano gli impianti innevati per quattro mesi interi ma che magari siano diversificate e pensate per tutto l’arco dell’anno.
Qui il report di Legambiente Report-Nevediversa_2023
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