
Clima e ambiente: come ne parlano i giornali italiani?

di Sabia Braccia e Serena Caminati
Venerdì 5 maggio 2023 all’Università di Parma si è svolto “Il clima dell’informazione, news, angoli ciechi e buone pratiche nella comunicazione sulla crisi ecologica e climatica“, un convegno organizzato da alcuni studenti del corso di Giornalismo, cultura editoriale, comunicazione ambientale e multimediale e dal Docente e Presidente del corso Marco Deriu, che fin da subito ha esplicato, quanto la tematica fosse “calda” in occasione della GreenWeek. La discussione, organizzata in tre diverse tavole, ha visto studenti, docenti e professionisti dell’informazione dialogare insieme per definire stato, ruolo, modalità e sfide dell’informazione ambientale in Italia.
Lo stato dell’informazione ambientale in Italia
Dalle 10.30 alle 13.30 si è parlato di “Notizie da un Pianeta che scotta: le sfide dell’informazione ambientale“, di come la tematica ambientale venga affrontata nel nostro Paese, posto che rispetto al passato il tema occupi oggi una posizione di maggiore rilievo, con un approccio ancora molto debole. Un esempio è lo spazio dedicato all’ambiente nei quotidiani, solitamente limitato e relegato nelle ultime pagine o in inserti a parte. La tendenza è quella di parlarne solo dopo una tragedia, di banalizzare la complessità dei temi nel catastrofismo, di mascherare gli eventi legati alla crisi climatica con l’espressione “maltempo” (come è avvenuto qualche giorno fa con L’alluvione a Faenza), o di farlo quasi esclusivamente attraverso personaggi di rilievo, come Greta Thumberg. Insomma, nella discussione ambientale si prediligono la storia, l’evento, il personaggio ma non certo la continuità dell’informazione.
Poco spazio, poche competenze, troppa confusione
Spesso nelle redazioni italiane mancano le giuste competenze per parlare d’ambiente, sia nei giornali che in televisione: si fa confusione fra le varie tematiche, come Emanuele Bompan e Giacomo Talignani hanno fatto notare. Bisognerebbe ripartire dal locale per produrre una politica mirata, perché di concreto nei programmi politici e nell’agenda setting mediatica c’è poco. Come ha affermato Lorenzo Tecleme infatti, siamo nell’era della complessità ed è necessario avere conoscenze basilari di chimica, fisica, economia circolare per affrontare l’argomento. Per Talignani
“mancano redattori e caporedattori che operino un’Agenda Setting sul clima e questa mancanza si riflette anche sul piano economico e politico”.
Bompan ha sottolineato che pochi giornali oramai vanno sul campo, pochissime testante investono su fotoreportage che sicuramente potrebbero facilitare una diversa percezione dei problemi, incrementando la discussione pubblica. La sfida di oggi è trovare una formula di giornalismo che racconti in maniera costante l’ambiente a livello positivo e negativo, ma senza l’utilizzo consistente di titoli allarmistici. Non solo; Elisabetta Tola ha affrontato i tema del data journalism e dell’utilizzo di dati, grafici e supporti nella comunicazione scientifica; spesso per semplificare concetti si ricorre a mappe e grafici illeggibili, sbagliati, che non restituiscono una corretta percezione del problema. Fortunatamente ci sono anche esempi virtuosi che usano i dati come strumento di narrazione.
Far risuonare il problema: il contributo dei movimenti
Negli ultimi anni la politica si è mostrata inadatta ad affrontare le sfide del cambiamento climatico. Alcuni partiti hanno da sempre affondato le proprie radici sul negazionismo ambientale, altre forze politiche hanno invece utilizzato slogan green durante le elezioni, ma poi non hanno mai svolto nulla di concreto; come ha sottolineato Gian Antonio Stella l’ambiente reca con sé questioni concrete, forse troppo per essere affrontate da stampa e politici in un clima di promesse elettorali. In Italia non c’è un partito dedicato all’ambiente che non sia marginale, mentre nell’Europa del Nord alcuni di questi partiti hanno già raggiunto il 20%.
Solo negli ultimi anni si sente parlare più frequentemente d’ambiente, grazie a movimenti e associazioni come Fridays for Future, Extinction Rebellion o il gruppo di attivisti di Ultima Generazione, che fa leva sull’indignazione delle persone attivando un nuovo livello di comunicazione, dovuto per Tecleme al fatto che ci sia uno iato fra loro e i decisori politici, una diversa percezione dell’urgenza. Elisabetta Ambrosi ha tenuto a specificare come questi siano
“movimenti che fanno leva sull’angoscia provocata dalla situazione traducendo in rappresentazione il terrore della fine del mondo”.
Uscire dalla “nicchia ecologica”
L’ambiente nelle redazioni dev’essere discusso come strettamente connesso ad altri aspetti perché ciò che lo riguarda può toccare la sicurezza nazionale, economica, sanitaria o sociale. Paolo Cacciari vede nel rifiutare una condizione di separatezza e specificità rispetto ad altre redazioni il primo ruolo del giornalismo ambientale. Secondo Daniela Passeri invece l’informazione ambientale deve suscitare un dibattito pubblico su molti temi: l’adattamento ai cambiamenti climatici, la corretta comunicazione del rischio, il “negazionismo delle soluzioni” ossia il non affrontarle mai nel discorso pubblico.
Modalità e strumenti del mestiere
Passeri ha poi descritto le modalità di lavoro dei giornalisti interessati: spesso sono freelance, precari, esposti alle querele di chi hanno accusato di aver inquinato, senza una dovuta protezione, al contrario di quelli legati ad una redazione che sono maggiormente tutelati ma possono essere maggiormente condizionati da una determinata linea editoriale. Una rivista come “Elle” magari prediligerà il racconto di storie personali e le notizie dall’apparato iconografico accurato e accattivante, pur trattando molto il tema eco-climatico e sensibilizzando a riguardo. Se il giornalismo ambientale deve fare un salto di qualità, i freelance o i redattori, chi guiderà questo salto? E poi.. Dove è meglio parlare d’ambiente? Secondo Cacciari servono nuove voci, nuovi giornali che possano veicolare questi temi, giornali che non presentino incoerenze o conflitti d’interessi, mentre per Stella e Tecleme anche gli spazi sui giornali mainstream devono essere considerati.
Tante le sfide ancora aperte per un giornalismo che voglia farsi portavoce della crisi climatica e ambientale che stiamo vivendo, tanti gli obiettivi e, fortunatamente, sempre più le questioni delle quali finora non si era sentito parlare portate allo scoperto, discusse al convegno da Marina Forti, Luca Martinelli, Laura Fazzini e Andrea Turco.