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Mangiarlo non basta: la lotta al granchio blu

Mangiarlo non basta: la lotta al granchio blu

di Sabia Braccia

Già l’anno scorso vi avevamo parlato del granchio blu (Callinectes sapidus ) e del rischio per la biodiversità dei nostri mari; moltissime nell’ultimo periodo sono state le notizie relative alla difficoltà dei pescatori veneti che sempre più frequentemente tirano su reti tagliate dalle chele oppure colme di lische e gusci vuoti. Data la risonanza del problema in molti stanno spingendo ad acquistare e consumare questo granchio, cosa che in passato, secondo i pescivendoli che lo commerciavano già da qualche anno, era appannaggio quasi esclusivo degli stranieri già abituati a consumarlo. Per questo a Genova il granchio blu veneto diventa street food nei vicoli, a Roma la catena Pam decide di farlo trovare nei supermercati insieme a interessanti consigli di cottura, per questo alcuni esponenti del governo, come il Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste Francesco Lollobrigida, cercano anche attraverso video social di implementarne l’acquisto.

La tavola non basta: incontri e primi provvedimenti istituzionali

I pescatori sono disperati: come raccontano a «la Repubblica» hanno bisogno di aiuto perché mentre tre anni fa di granchio blu in Polesine se ne raccoglievano 20 chili a giorno con le reti a strascico, quest’anno se ne raccolgono 300. È una vera e propria invasione causata dall’assenza di predatori naturali nei nostri mari, un’invasione da combattere. All’inizio del mese il Ministro Lollobrigida si era recato nella sede del Consorzio delle cooperative di pescatori del Polesine e in vista della scarsa produzione 2024-2025 il governo aveva previsto uno stanziamento di 2 milioni e 900  mila euro. Solo tre giorni fa il Presidente della Regione Veneto Luca Zaia ha incontrato i pescatori al Porto di Pila (comune di Porto Tolle, RO) definendo questa specie «cataclisma» e ricordando la richiesta dello stato di emergenza inoltrata l’8 agosto. Zaia ha rimarcato che «da qui partono il 40% delle vongole italiane, 52.000 quintali; quest’anno, a causa del granchio blu, segneremo un -80/90% nella produzione». Ma il granchio blu mangia anche cozze, orate, branzini, meduse e ostriche, diventando addirittura cannibale quando non trova cibo. Nella mattinata del 25 agosto anche l’assessore all’Agricoltura della Regione Emilia-Romagna Alessio Mammi nell’incontro con Lollobrigida a Goro (FE) ha affermato che i quasi 3 milioni fanno certamente respirare i pescatori, ma non bastano. È necessario lo stato di emergenza con un conseguente fondo nazionale che permetta di affrontare al meglio la situazione.

Ma quando, come e da dove è arrivato il famigerato granchio blu e dove preferisce vivere?

Come avevamo già raccontato, il granchio blu arriva dalla costa occidentale dell’Atlantico e dal Golfo del Messico e compare nelle acque del Mediterraneo addirittura nel Secondo dopoguerra: il primo avvistamento in Italia risale infatti al 1949 a Grado in Friuli Venezia Giulia. Geopop spiega che le sue larve trasportate dalle acque di zavorra delle grandi navi hanno trovato un territorio favorevole soprattutto nei pressi delle foci dove le acque di fiume abbassano il grado di salinità del mare anche se la specie riesce ad adattarsi molto bene all’ambiente in svariate circostante di salinità (compresa fra il 2 e il 48 per mille) e di temperatura dell’acqua (fra i 3 e i 35°C). Per questo una volta arrivata, gradualmente e in assenza di predatori naturali, la specie si è diffusa in tutto il Mediterraneo comportando danni ecosistemici ed economici non indifferenti. Se oggi incidenti del genere vengono arginati dalla nuova normativa sulle acque di zavorra che prevede un ricambio frequente delle stesse durante il viaggio della nave e che verrà resa ancora più efficiente dal 2024, purtroppo quello delle specie esotiche invasive è un problema dalle soluzioni sempre complesse.

Il bacino idrografico del Po e le altre “invasioni”

Avevamo parlato di piante aliene invasive lungo le rive della Parma, piante in larga parte presenti in tutto il bacino idrografico del Po e diffuse, come spesso accade per la fauna, a causa di comportamenti umani ingenui o irresponsabili. Svuotare terrari e acquari in natura nei pressi di corsi d’acqua e scarichi domestici o liberare animali “domestici” esotici diventati difficili da gestire in natura, invece di rivolgersi ai centri specializzati, è un comportamento pericolosamente ingenuo. Ovviamente non tutte le specie alloctone arrivate con i commerci, sotto forma di seme o larva nel terriccio, come piante ornamentali o animali da compagnia sopravvivono in ambienti diversi da quelli d’origine e di quelle che riescono a farlo solo il 10% circa si riproduce. Un ulteriore piccola percentuale nel diffondersi diventa poi invasiva, perché non incontra agenti naturali autoctoni in grado di contrastarla. Per quanto riguarda la fauna aliena invasiva in Italia, e nel bacino del Po in particolare, sono tristemente famosi anche i casi del gambero rosso della Louisiana e delle testuggini palustri americane. Non poche volte le introduzioni di queste specie sono state volontarie, obiettivo di progetti mirati a “combattere la natura con la natura” come nel caso delle carpe asiatiche a Chicago o dei rospi delle canne in Australia o di reintroduzioni conseguenti alla scomparsa di specie autoctone simili, come per il gambero della Louisiana; progetti che poi si sono rivelati purtroppo estremamente dannosi.

Il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica spiega però che per prevenire e gestire la diffusione di specie aliene invasive nei paesi dell’Unione Europea dal 1 gennaio 2015 è in vigore il Regolamento 1143/2014 che fa riferimento a 88 specie invasive, divise in quattro liste, di importanza unionale. Mentre in Italia dal 14 febbraio 2018 è in vigore anche il Decreto Legislativo 230/2017.

Come dimostra la diffusione del granchio blu, una volta “invasi” è davvero difficile fronteggiare il problema: i pescatori disperati lo sanno bene. Attendiamo gli sviluppi relativi alla proclamazione – o meno – dello stato di emergenza con nuove consapevolezze su quanto ci si possa considerare attaccati se a traghettare gli invasori, più o meno consapevolmente, sono gli “invasi” stessi.

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