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Al Festival di Open le sfide del futuro climatico

Al Festival di Open le sfide del futuro climatico

di Sabia Braccia

Prevenire, informare, adattarsi, pianificare

Venerdì 15 e sabato 16 settembre Parma ha ospitato il primo festival di «Open», il giornale online fondato da Enrico Mentana, dal titolo “Le sfide del futuro”. Sono stati due giorni ricchi di eventi durante i quali sul palco in Piazza Garibaldi si sono succeduti ospiti dal calibro locale e nazionale per parlare dei giovani e dei loro cult generazionali, della musica che verrà, dell’identità, di educazione sentimentale e abusi ma anche di geopolitica, del Mediterraneo e del cambiamento climatico.

Molto interessante l’incontro svoltosi nella mattinata di sabato intitolato “Questo clima ci uccide: gli effetti del cambiamento climatico sulla nostra salute”, nel quale sono stati intervistati Guido Bertolaso, ex capo della Protezione Civile oggi assessore al Welfare della Regione Lombardia, Serena Giacomin, meteorologa e climatologa, Presidente di Italian Climate Network, e Alessandro Miani, Presidente della Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA), giornalista, medico e docente alla Statale di Milano. Parole chiave dell’incontro: previsione, prevenzione, pianificazione ma anche mitigazione e adattamento.

Prima si è parlato più nello specifico della questione climatica; Giacomin riferendosi alle pratiche di adattamento – volte a contrastare gli effetti del cambiamento climatico – e a quelle di mitigazione – volte a ridurre l’emissione di gas climalteranti – è andata subito al nocciolo della questione: i dati e gli strumenti disponibili sono tanti, bisogna sviluppare la consapevolezza e la volontà per metterli in atto, consapevolezza e volontà ancora troppo carenti. «Spesso anche a livello di comunicazione siamo lì disorientati in mezzo a troppi dubbi, a troppi finti dibattiti, e parlo di finti dibattiti perché su alcune cose riguardanti il cambiamento climatico in realtà la comunità scientifica internazionale non sta dibattendo affatto» anzi, sta affrontando discorsi su cambiamento climatico e riscaldamento globale da una quarantina d’anni. Giacomin sottolinea poi che il Mediterraneo, anche per via della sua conformazione, è considerato un hotspot: è molto vulnerabile anche al riscaldamento delle sue acque in quanto mare chiuso. Tutto questo porta a un’estremizzazione climatica che è un rischio concreto cui la popolazione è esposta. Un rischio che può per esempio portare a quello che è accaduto in Emilia-Romagna, allo sviluppo di un fenomeno alluvionale che si sviluppa come «colpo di frusta climatico» subito dopo un lungo periodo di siccità.

Vivere nei centri urbani nel futuro climatico

Miani ha spiegato gli effetti più evidenti del cambiamento climatico sulla salute, dai decessi per le ondate di calore alle patologie che possono svilupparsi dopo un’alluvione anche nel lungo periodo, dalla proliferazione di insetti vettori di patogeni come zecche e zanzare all’arrivo di specie aliene (si ricordino i casi di dengue in Italia). Non solo; ci sono tutta una serie di difficoltà anche economiche che possono derivare da un aumento dei prezzi sugli alimenti prodotti in periodi di siccità e che potrebbero generare fragilità sociali nell’accesso a buone cure e buona alimentazione. Sollecitato dai giornalisti spiega poi che la vera sfida della salute della popolazione si giocherà nelle città che nel 2050 ospiteranno il 70% della popolazione globale, trasformandosi da metropoli a megalopoli. A questo proposito espone studi volti a migliorare la temperatura o la qualità dell’aria nelle città; il primo indica che sfruttando il 40% della superficie cittadina comprensiva anche di tetti e pareti verticali per il verde urbano (quindi non solo piantumandolo) si potrebbe abbattere la temperatura complessiva di quella città fra gli 8 e i 12 gradi. Un altro studio indica invece che se il verde occupasse il 30% della superficie cittadina si avrebbe una riduzione di mortalità generale e complessiva del 2% in quell’area. Miani illustra poi alcune soluzioni già sperimentate in determinate zone come l’utilizzo di asfalti più chiari e drenanti, che non assorbano grandi quantità di calore e che riescano a raccogliere l’acqua piovana, di tetti verdi che riescono a ridurre di un paio di gradi la temperatura delle abitazioni o di particolari coating che riescono a ridurre dal 20 all’80% gli inquinanti nell’aria. Dobbiamo adattarci al cambiamento climatico, cercare da subito di migliorare la qualità della vita delle persone in base ai dati raccolti; per esempio, i maggiori inquinanti derivano dal riscaldamento degli edifici, mentre settori ai quali si pensa sempre contribuiscono magari solo per il 22-23% (il traffico veicolare, anche se a Milano lo smog da traffico incide per il 79% ma è un unicum in Italia) o l’11% (le industrie). Nelle politiche pensate per la mitigazione degli inquinanti queste percentuali devono essere prese in considerazione perché comunque tutto quello che si può fare deve essere sostenibile economicamente e socialmente accettabile. In caso contrario le persone impoverendosi non avrebbero le risorse necessarie da dedicare all’ambiente o alla propria salute. Anche Bertolaso è del parere che nel chiedere al cittadino di cambiare abitudini si debbano fornire tutti gli strumenti affinché questo cambio non sia insostenibile.

Prevenzione e sfide dell’informazione

La parola chiave per questi interventi sottolinea Giacomin dovrebbe essere strategia mentre oggi nel parlare di tematiche così complesse si sovrappone loro una patina di rinuncia. Ci sono studi condotti dalla BCE sugli effetti di una transizione ordinata e su quelli deleteri di una transizione disordinata anche se la vera rinuncia sarebbe il costo di una mancata transizione, la rinuncia a tanta parte della nostra qualità della vita, del nostro benessere e della nostra sicurezza. Va ricordato anche che spesso nell’affrontare queste tematiche si fa confusione fra termini e concetti diversi che vengono usati come interscambiabili ma che non lo sono affatto (un esempio è scambiare i gas inquinanti con quelli climalteranti). «Come possiamo pensare di trovare la soluzione ai nostri problemi se non riusciamo neanche a metterli a fuoco?» Se abbiamo l’ambizione di dare un giudizio sulle politiche promosse dall’Unione europea e di conseguenza dalla governance italiana, dobbiamo capire bene quello di cui si sta parlando. «Ciascun cittadino avrebbe il diritto a ricevere una comunicazione molto più ordinata che magari spieghi anche effettivamente con consigli semplici come sia opportuno comportarsi in situazioni di eventuale rischio, come può essere un’ondata di caldo o come un nubifragio con le cosiddette norme di autoprotezione civile». La comunicazione dovrebbe essere al servizio del cittadino mentre invece tratta queste tematiche in un modo che enfatizza la polarizzazione, come se ci fosse sempre uno scontro tra le parti. È il cosiddetto false balance, una situazione nella quale per esempio il climatologo deve dibattere con il negazionista.

Alla domanda del giornalista sulla necessità o meno di formare un nuovo corpo per la gestione degli eventi estremi legati al cambiamento climatico Bertolaso risponde negativamente; ha molta fiducia in tutto il sistema di previsione e prevenzione che la Protezione Civile aveva sviluppato nei primi anni Duemila ma che poi è stato progressivamente abbandonato. Anche il bollettino rosso sulle ondate di calore era stato “inventato” dalla Protezione Civile nel 2001, così come tante altre misure che permettevano di cercare di limitare il più possibile i danni relativi a un disastro. La Protezione Civile per Bertolaso è «il più grande sistema nazionale» formato da vari corpi che però devono lavorare in sinergia. Sono stati citati poi gli esempi del Ponte Morandi, dell’alluvione in Emilia-Romagna e di quella in Libia; «ma voi pensate che nessuno sapeva quello che stava per accadere? […] Quello che stava per accadere in Libia lo sapevano con una certezza pari al 70% sette giorni prima, con una certezza pari al 90% tre giorni prima e con una certezza pari al 100% il giorno prima… che ci sarebbe stata questa tempesta e che sarebbe caduta questa quantità di millimetri d’acqua». Miani aggiunge, parlando della prossima estate – e delle scarse misure che in poco tempo si potranno mettere in atto – che si può partire con informazione e prevenzione rispetto anche alle regole più semplici da seguire, aggiungendo una P a quelle elencate da Bertolaso: la pianificazione. La componente della pianificazione territoriale e l’impronta umana incidono tantissimo in questi casi.

Insomma quello che è certo è che i media italiani devono sforzarsi di più, fornire una comunicazione più limpida e decisa: non solo sulle cause dei problemi ma anche sulle pratiche di adattamento e sulle possibili soluzioni. Non solo; al contempo a livello istituzionale si dovrebbero sfruttare gli strumenti e i dati che già si hanno a disposizione per cercare di limitare il più possibile il rischio sia a livello ambientale sia a livello di salute umana, oramai sempre più interconnessi.

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