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Una giornata nella Casa dei diritti

Una giornata nella Casa dei diritti

Questo articolo è un estratto della rivista digitale gratuita “Emersioni – Incontri, testimonianze e domande sul grave sfruttamento lavorativo” realizzata da una redazione di ragazze under 26, guidate dal giornalista Giuliano Battiston. Un’iniziativa promossa dalla Città Metropolitana di Milano insieme all’agenzia per la trasformazione culturale cheFare e l’organizzazione indipendente di ricerca e trasformazione sociale Codici ricerca e intervento, nell’ambito del progetto a supporto di persone vulnerabili Derive e Approdi.

 

Il reportage di Ylenia Rosanna De Luca e Rosita Valle

Ad accoglierci, all’entrata della Casa dei diritti in via de Amicis 10 a Milano, è un signore brizzolato di mezza età, seduto in portineria. Ben disposto, ci indica la sala riunioni, dall’aspetto accogliente. Uno striscione cattura la nostra attenzione: «un segno contro l’omotransfobia». Sulle scale campeggia una grande scritta: è il secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione, che sancisce il principio fondamentale dell’uguaglianza. Al primo piano incontriamo Sofia De Ponti, un’operatrice dall’aspetto solare ed energico. Ci spiega che sta aspettando l’arrivo di una ragazza che è stata vittima della tratta, per un colloquio di monitoraggio. 

Sediamo in sala d’attesa, dove entra Elena Buzzi, una donna dal fare deciso e dallo sguardo accogliente. Ci accompagna al secondo piano, nello “spazio degli incontri”, un nome che evoca un ambiente in cui la relazione è fondamentale. Elena Buzzi ci racconta le origini di questo edificio. «È curioso, perché prima era uno spazio occupato da un laboratorio anarchico, un centro sociale in cui si facevano concerti, eventi, collettivi, e prima ancora una chiesa sconsacrata: insomma, è sempre stato un luogo a sfondo sociale». Nata nel 2013 per volere dell’assessore alle Politiche sociali e alla Cultura della salute Pierfrancesco Majorino, la Casa dei diritti fornisce servizi per promuovere e garantire i diritti umani. Elena Buzzi è la referente del servizio antidiscriminazione, che si occupa di accogliere e proteggere persone discriminate; Sofia De Ponti, che abbiamo appena incontrato, fa parte del servizio antitratta, rivolto alle vittime di grave sfruttamento sessuale e lavorativo. La referente del servizio antiviolenza è invece Sabrina Ortelli.

Emersioni

In maniera appassionata, Elena Buzzi ci racconta come è organizzato il suo servizio, rivolto a giovani discriminati Lgbtqia+ dai 18 ai 35 anni. Il primo contatto avviene tramite il Rainbow Desk che è proprio nella Casa dei diritti. È qui che avvengono i colloqui conoscitivi, che funzionano sia da filtro sia da primo sportello di orientamento e informazione. Se la valutazione è positiva, la persona viene accolta in Casa Arcobaleno, due appartamenti che possono ospitare fino a cinque persone per un periodo variabile, a seconda delle fragilità di ciascuno. Gli operatori sociali si occupano inoltre di accompagnare le persone verso un’autonomia abitativa, decisionale, personale, economica e lavorativa, con sostegni psicologici, sanitari e legali. Elena Buzzi si occupa anche di antiziganismo e del Piano e Osservatorio antidiscriminazione, che si avvale della partecipazione di università e terzo settore. Questa forte collaborazione rispecchia l’idea di unione che propone Buzzi, affinché la società risulti sempre più attenta all’uguaglianza dei diritti umani.  Allo stesso tempo, affinché i bisogni di ogni persona vengano accolti in toto, è fondamentale la coesione tra i vari servizi della Casa dei diritti, ci spiega.

Lo stesso clima di sostegno reciproco è evidente nella discussione che segue: a Elena Buzzi si aggiungono infatti Sofia De Ponti, assistente sociale della cooperativa Lotta contro l’Emarginazione e parte dell’ufficio antitratta, e Simona Berardi, da quasi dieci anni referente operativa per il Comune di Milano. Sofia De Ponti illustra il funzionamento dell’ufficio filtro e monitoraggio. Nel primo livello, tre operatrici raccolgono le segnalazioni dal servizio di bassa soglia, dalle commissioni territoriali o dalle forze dell’ordine. Nel secondo, le persone prese in carico vengono collocate nelle comunità e se ne monitora il percorso. Un lavoro complesso, che richiede rapporti con altre strutture: per esempio l’etnopsichiatria dell’ospedale Niguarda e la fondazione San Carlo per la ricerca del lavoro e per i servizi di assistenza legale attraverso i quali le vittime possono trovare aiuto per denunciare chi le sfrutta. Anche Simona Berardi ribadisce l’importanza dei momenti di rete e di confronto con i responsabili dei vari servizi, in modo da avere sempre ben i chiari gli obiettivi. «L’ufficio filtro è la cabina di regia del progetto antitratta, rivolto in particolar modo alle vittime di sfruttamento sessuale, ma anche al grave sfruttamento lavorativo, nonostante sia più difficile da individuare, e non sempre collegato con il fenomeno della tratta».

Emersioni

L’accoglienza in comunità prevede la partecipazione a un progetto di assistenza e integrazione sociale. A chi aderisce, viene chiesto di raccontare la propria storia e la situazione relativa ai documenti. «Perché non avere i documenti favorisce lo sfruttamento», sottolinea Sofia De Ponti. Una volta firmata l’adesione e concordate le regole del progetto, viene definito insieme il giorno di ingresso. Poi, in una fase di prima accoglienza, viene fatta studiare la lingua italiana e chiesta la partecipazione a corsi propedeutici di formazione al lavoro. Una seconda accoglienza si ha invece quando il livello di autonomia risulta maggiore. Infine, c’è la terza accoglienza, con aiuti più sporadici, ad esempio «nella ricerca di una casa, nell’incontro con un’agenzia immobiliare o per dare consigli sulla gestione dei soldi, sul pagamento delle bollette», racconta Sofia De Ponti. 

La discussione vira poi sullo sfruttamento lavorativo. «Sul territorio milanese, il contesto di lavoro in cui si verifica maggiormente lo sfruttamento è l’edilizia. A seguire ci sono la ristorazione e il badantato, per il quale però si ricevono poche segnalazioni» racconta Sofia De Ponti. Simona Berardi spiega che l’entrata nel programma prevede il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale, una forma di tutela dello straniero vittima di violenze o grave sfruttamento. «La questura di Milano rilascia i permessi di soggiorno per articolo 18 senza troppe remore, mentre in alcune regioni non è così semplice. Sembra quasi sia discrezionale, ma non lo è». Per questo la cosa importante, aggiunge Sofia De Ponti, è «essere onesti con le persone e non fare promesse che non possono essere mantenute; si basa tutto su una relazione di fiducia. E stabilire la fiducia è una lotta continua». La Casa dei diritti è anche questo. Un punto di riferimento per le persone vulnerabili, luogo di fiducia, aperto e inclusivo: per garantire il rispetto dei diritti, devono essere accessibili a tutt*.

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